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Questo articolo è stato pubblicato il 10 giugno 2012 alle ore 15:19.

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In altri tempi un settore industriale di oltre 40mila aziende che ha chiuso il 2011 al 70% di export (con un peso di 2,2 punti di Pil) avrebbe fatto gridare al miracolo. Ma la meccanica strumentale italiana, secondo i dati della Federmacchine, da otto trimestri a questa parte (2012 compreso), sta soltanto facendo (e bene) il suo mestiere di sempre, andandosi a cercare i clienti dove sono. Non certo in Italia, mercato sostanzialmente fermo da più di due anni, in un'industria nazionale che rischia ormai l'obsolescenza (grave) dei suoi mezzi di produzione.

«Stiamo tutti andando all'estero, spesso all'80% dell'attività. Dalla Cina, agli Usa, all'America Latina - rileva Gianluigi Viscardi, presidente della Cosberg e della Piccola impresa di Bergamo - ma non è tutto oro quello che riluce. Il mercato globale richiede crescente complessità, servizi, e sempre più tecnologia di punta. E i margini tendono inevitabilmente a ridursi».
Farsi largo, tra agguerriti concorrenti tedeschi o Usa, con prodotti nuovi e unici, alla "Steve Jobs" e' ormai, di necessità, un obbiettivo che circola tra le aziende della meccatronica italiana. «E' il solo biglietto di ingresso per affrontare i nuovi mercati - spiega Giulio Corghi, presidente dell'omonima azienda di Correggio specializzata nei macchinari per auto-officine - per questo abbiamo sviluppato per quasi dieci anni un sistema robotizzato, e a intelligenza artificiale per la convergenza delle auto e ora possiamo attaccare anche i nostri concorrenti storici americani. Sicuri di essere, in questo campo, un passo avanti a tutti. In piccolo come la Apple».

Dei cinque finalisti al premio Meccatronica, promosso ogni anno da Industriali Reggio Emilia e dal club Meccatronica, quattro sono stati selezionati dalla giuria in base a innovazioni radicali world-class.
Vale per la Bellco di Mirandola, leader europeo nelle macchine per la dialisi e la depurazione del sangue che, nonostante il sisma (e con l'aiuto di tutti i suoi 364 dipendenti) è andata a Parigi, di fronte al maggiore congresso di specialisti clinici, a presentare tre nuove macchine ad alta sensorialità e automazione. Di cui una, la Carpe Diem, capace di curare l'insufficenza renale acuta dei bimbi appena nati, prima inattaccabile. Una prima mondiale.
E poi a Bari la Smoov-Asrv, una nuova impresa partita nel 2009 su un concetto rivoluzionario di magazzino automatico, «per robot distribuiti, come formichine, rispetto agli elefanti centralizzati di oggi - spiega Roberto Bianco, amministratore delegato - un progetto che ci è costato otto anni di ricerca e sviluppo, con varie università. Ma che ora ci permette di offrire magazzini automatici modulari, flessibili, adatti anche alle piccole imprese. E i risultati all'estero li cominciamo a vedere».

C'è poi chi, nell'automazione e nella robotica più avanzata, a dispetto della crisi, continua a scommettere, e personalmente, nelle startup. Come la Pitom di Pisa, avviata qualche mese fa da un gruppo di sei ingegneri e ricercatori provenienti dall'Università, tra i maggiori specialisti italiani in "droni" (veicoli automatici), dagli elicotteri alle auto senza pilota. La Pitom, però, si è focalizzata su una piccola barca, Piship, in grado di percorrere, su rotte programmate, fiumi, laghi, e canali anche inaccessibili all'uomo. «E di effettuare rilevazioni ambientali in tempo reale, inviandole all'operatore remoto che così può concentrarsi sui risultati via via ottenuti e non sulla navigazione - spiega Roberto Mati, amministratore della startup».
I sei ingegneri pisani non hanno chiesto un soldo per lanciarsi: «ci abbiamo messo tutto quello che avevamo, ma i primi riscontri ci sono, a poche settimane dal varo della prima barca».
Quattro casi, come si vede, di innovazioni radicali in piccole e medie imprese. E tutti rigorosamente all'insegna della ricerca collaborativa. Corghi, Pitom, Smoov con Università e politecnici. Bellco, per la sua macchina di dialisi neonatale, con il dipartimento di nefrologia di Vicenza.

«Oggi, per reggere il mercato globale l'unica strada possibile è quella della Open Innovation – spiega Viscardi – potrà sembrare poco visibile fuori ma per noi alla Cosberg è vitale. Siamo un'azienda di novanta persone che fa macchine e impianti di micro montaggio su misura con migliaia di automatismi. Che ormai vanno anche a 10mila chilometri di distanza. Certo, li monitoriamo remotamente ma sono sistemi complessi, fatti di software avanzato. E se uno dei nostri progettisti va via rischiamo grosso. Per questo abbiamo sviluppato dei database di tutte le conoscenze aziendali. E non solo. Alcuni anni fa abbiamo fondato l'Intellimech, un consorzio di ricerca che oggi conta 24 soci. Poche settimane fa sono stato in grado, date le conoscenze disponibili, di raccontare ai miei partner tutta la tecnologia della Cosberg. Avviando un gioco di possibili collaborazioni e scambi essenziali per tutti noi. Per fare rete e per affrontare questa fase difficile con gli strumenti giusti, sia nel servizio e radicamento sui mercati lontani, sia per costruire innovazione, anche radicale, in modo sostenibile».

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