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Rizzi: «Stiamo progettando la plastica del futuro»

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2010 alle ore 17:54.
L'ultima modifica è del 14 giugno 2010 alle ore 13:23.

«Non esistono ricerca di base o applicata. Esistono ricerca buona o cattiva. Quella buona è quasi sempre applicabile». A citare un vecchio rettore della Stanford University è Menico Rizzi, vice direttore del Dipartimento di Scienze chimiche, alimentari, farmaceutiche e farmacologiche (Discaff), nonchè coordinatore del corso di dottorato in Biotecnologie farmaceutiche e alimentari dell'Università del Piemonte orientale a Novara. Rizzi è anche il referente del progetto che vede il Discaff partner dell'azienda Novamont per la produzione di polimeri biodegradabili: si è aggiudicato il bando "Converging Technologies" della Regione Piemonte con un finanziamento di 1,6 milioni; una cifra equivalente viene messa in campo dai soggetti coinvolti per ultimare il lavoro, cominciato nel 2009, nell'arco di tre anni.

Professore, che cosa fate esattamente?
Lo studio si prefigge di usare degli enzimi per trasformare un materiale di partenza, di origine vegetale, rinnovabile, in qualcosa di utilizzabile per le bioplastiche. Tutto questo avviene attraverso un processo di polimerizzazione. In pratica, in determinati procedimenti già esistenti vogliamo sostituire la chimica verde con la biochimica.

Che scopo ha tutto questo?
Gli enzimi sanno fare modifiche chimiche che la chimica classica non è in grado di ottenere con la stessa efficienza. Nel concreto, l'obiettivo è ottenere nuove bioplastiche con caratteristiche migliori (maggiore biodegradabilità o un più alto punto di fusione) che ne amplino gli impieghi.

Centrerete l'obiettivo in tre anni?
Il progetto ha un'ipotesi di minima: garantire ai processi una maggior resa rispetto a oggi grazie all'impiego degli enzimi. E questo traguardo verrà raggiunto nell'arco del progetto. L'ipotesi di massima è di ottenere nuovi materiali derivati dalla natura. Aggiungerei un terzo obiettivo che dovrebbe essere sempre presente nei progetti di ricerca: rafforzare le competenze già presenti sul territorio.

Com'è il rapporto con l'industria?
Nel nostro caso c'è davvero la volontà di rafforzare la ricerca applicata senza rinunciare alla prerogativa della ricerca accademica, che è quella di sviluppare nuove idee. L'intento dei partner non è solo di ottenere una ricaduta immediata, ma anche di stimolare idee rivoluzionarie per il settore. Si vogliono creare con la ricerca pura i presupposti per la ricerca applicata del futuro.

Quante persone sono coinvolte e chi mette i fondi, oltre alla Regione?
Ci sono nove persone completamente dedicate e pagate con i fondi regionali. Poi un'altra dozzina di persone fanno parte del progetto e i costi sono sostenuti da università e Novamont, così come i costi per materiali e impianti pilota. Un ulteriore obiettivo del progetto è anche di fare formazione: noi addestriamo persone che poi possano sviluppare i risultati ottenuti. (C.A.F.)