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Verona tenta la ripresa con i piedi per terra

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Questo articolo è stato pubblicato il 20 settembre 2010 alle ore 12:22.

Il denaro, perché di quello qui ne corre ancora tanto. E, poi, i capannoni, molti desolatamente vuoti. Ma anche il cibo, simbolo di una civiltà contadina che, archiviato il Novecento delle macchine, si è riscoperta culturalmente à la page e continua a essere assai redditizia. Questa città, strano ircocervo in grado di unire le pulsioni materiali più profonde del Nordest e un senso di sé tipico di una comunità per cui qualcuno ha scritto «non c'è mondo per me aldilà delle mura di Verona», sembra davvero uscita da un manuale di economia: il suo mix produttivo, direbbero gli industrialisti, è perfetto, perché composto da attività cicliche e anticicliche. Finanza, manifattura, agroindustria. «Una diversificazione - riflette Alberto Bauli, presidente dell'omonimo gruppo - che ha conferito equilibrio e solidità al nostro tessuto economico e civile».

Anche adesso, che la recessione globale si incrocia con le cronache in cui i poteri cittadini si ritrovano impigliati in una brutta storia giudiziaria, Verona con il suo contado gioca sui tasti della sua tripla vocazione. Si arrocca intorno all'élite politico-finanziaria, con la Fondazione Cariverona che conferma la fiducia a Paolo Biasi, un personaggio da romanzo manniano incappato nell'accusa formulata dalla procura di Teramo di bancarotta preferenziale per episodi legati a due aziende di famiglia (ramo caldaie), con il sindaco Flavio Tosi che lo difende svelando l'alleanza di potere fra i leghisti e il blocco cattolico postdemocristiano. Allo stesso tempo Verona si lecca le ferite per una recessione che sta mandando fuori mercato interi pezzi del suo sistema manifatturiero. E si abbandona alla sua natura più antica: coltivare la terra, fare salami e formaggi, preparare la pasta, curare le viti. Al di là di ogni retorica agreste, con le maggiori efficienza e redditività possibili.
In un passaggio così delicato, l'indebolimento del profilo finanziario della seconda piazza bancaria del paese sembra in qualche maniera rendere ancora più evidente cosa possa significare, per la provincia ricca ma sottoposta alle tensioni economiche della crisi, campestre ma anche cosmopolita, il termine "territorio", mantra dell'Italia tremontiana che cerca di porsi al riparo dalle piogge dei big crash globali e prova a rivalorizzare le proprie specificità culturali e produttive.

La recessione, sul manifatturiero classico, ha colpito duro: in particolare la metalmeccanica ha sofferto il calo della domanda e ha mostrato tutti i limiti di una struttura produttiva che, a parte alcune grandi e medie aziende, è rimasta troppo vincolata alla piccola dimensione. Secondo i dati elaborati da Veneto Lavoro, le ore di cassa integrazione sono state nei primi sei mesi dell'anno 2,3 milioni (in linea con lo stesso periodo dell'anno precedente). A mostrare l'intensità della crisi, è un dato: in tutta la regione, ogni ora di cig ordinaria corrisponde a poco più di due ore di cassa straordinaria. A Verona, il rapporto diventa quasi uno a quattro. E sulle 493 aziende venete che stanno adoperando la cigs, ben 137 sono veronesi, il numero maggiore fra tutte le province.

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«Si tratta di un dato composito - spiega Carla Pellegatta, segretaria della Cgil veronese - perché ci sono settori, come l'agroindustria, che non hanno fatto alcun ricorso ad ammortizzatori sociali e altri, come l'edilizia e soprattutto la meccanica, che senza di essi sarebbero finiti male».

Questi problemi occupazionali sono l'effetto di un'attività industriale e commerciale ridotta. L'anno scorso l'export di macchinari, che si è attestato a 1,3 miliardi di euro, ha subìto una flessione di quasi un terzo rispetto al 2008. Le esportazioni di cisterne e radiatori, pari a poco più di 200 milioni di euro, hanno registrato una flessione della medesima entità. Stando alle elaborazioni dell'istituto Tagliacarne, qui il Pil procapite è stato di 29.731 euro: fatto 100 l'indice italiano, quello veronese è risultato pari a 117; dunque il benessere è sempre considerevolmente maggiore rispetto alla media del paese, anche se nella classifica delle province Verona scivola di cinque posizioni e adesso è "soltanto" diciannovesima. «L'erosione di competitività - spiega Sergio Noto, docente di storia dell'impresa all'università di Verona - riguarda soprattutto la base manifatturiera. Che non sarà quella di Vicenza, ma comunque è rilevante: l'industria in senso stretto vale un buon quarto del valore aggiunto prodotto nella nostra provincia».
L'attuale crisi, però, non sembra avere intaccato un'accumulazione di capitale, si direbbe con linguaggio vagamente marxista, che ha origini antiche, nelle proprietà fondiarie, e che ha avuto il suo tradizionale terminale nelle banche, che anche dopo le concentrazioni hanno assegnato alla città veneta un polo significativo, in termini di assetti azionari, di raccolta e di equilibri di potere: non c'è solo Paolo Biasi, che esercita un'influenza rilevante su Unicredit, c'è anche Carlo Fratta Pasini, presidente del consiglio di sorveglianza del Banco Popolare. «Dal punto di vista storico - specifica Noto - le grandi ricchezze veronesi, prima di diversificarsi nella finanza anche grazie agli intermediari cattolici radunati nelle popolari, nascono nelle campagne. E, adesso, si torna a sperare nella terra, per riuscire a prosperare di nuovo».

Una prospettiva, più che altro, di tipo strategico: l'agricoltura, infatti, pesa sul Pil, secondo l'istituto Tagliacarne, per non più del 3%, anche se si tratta di un dato sottostimato, visto che l'agroindustria finisce, nelle classificazioni dell'Istat, dentro al settore industriale. Al di là delle aporie statistiche, si tratta comunque di un tassello con una sua robustezza: l'export delle bevande, pari nel 2009 a 580 milioni di euro, ha contenuto il calo rispetto all'anno prima a circa il 5 per cento. Addirittura, le esportazioni verso la Germania, primo mercato in molti comparti, sono rimaste stabili. Un legame fortissimo, quello con i paesi di lingua tedesca, con collegamenti diretti: «Giovedì andrò a Vienna volando da Verona con Airdolomiti-Lufthansa», racconta Giancarlo Aneri, 500mila bottiglie all'anno fra prosecco, amarone e chianti, e fondatore nel 1995 con Montanelli, Biagi e Bocca del premio "È Giornalismo". Tornando ai settori, appare più complessa la situazione dell'ortofrutta, con un export nel 2009 di 356 milioni, in discesa di un buon quarto rispetto all'anno precedente. Il sistema, nel suo complesso, tiene anche grazie a una costellazione di imprese di buona dimensione, per esempio Veronesi, Rana e Bauli, che mostrano capacità di innovazione di prodotto e una rilevante abilità nel valorizzare i propri marchi. Idem per quanto riguarda gli innumerevoli produttori di vino, che hanno coniugato l'abilità di creare fenomeni "di moda" (basti pensare al caso dell'amarone) e la forza di imporli sul mass market. Buona anche la loro fibra finanziaria.

«L'agricoltura e l'industria a essa collegata - osserva Giuseppe Menzi, direttore generale di Antonveneta - sono solide, anche nel rapporto con il sistema del credito».
Non si tratta solo dell'anticiclicità. C'è anche un naturale collegamento fra banche e imprese del settore. Un legame storico. Basti pensare con quali basi di clientela e con quali specializzazioni si siano sviluppate, in tutto il centro-nord del nostro paese, realtà quali appunto Antonveneta, la Banca Agricola Mantovana, la vecchia Banca Nazionale dell'Agricoltura. «Non operiamo soltanto con il credito, ma pure con l'equity - ricorda Menzi -: tramite una piccola merchant bank, Agrisviluppo, deteniamo a Verona l'11,86% di Consorzio Agrario Lombardo Veneto e il 14,23% di Agriform, specializzato nel caseario».
In una città, e in una provincia, che cerca di costruire il futuro usando pezzi del suo passato, una funzione essenziale è rivestita dal sistema fieristico. «Pensi a quanto, in passato, ha pesato nello sviluppo della ricchezza della nostra terra la fiera dell'agricoltura», sottolinea Bauli. Un contesto insieme competitivo e opaco, quello delle fiere nel nord Italia. «Io sono un metalmeccanico abituato alla concorrenza - ironizza Ettore Riello, presidente della Fiera di Verona -, però certi calendari impostati da altre città, in particolare Milano, sembrano più irrazionali che competitivi». Verona ha la fiera dei cavalli. «Che senso ha - attacca Riello - che Milano un mese prima organizzi una manifestazione simile?». Anche se, sulla partita forse decisiva, ha prevalso Verona. «Ci hanno provato con il vino - racconta con soddisfazione Aneri -, ma alla fine hanno dovuto soprassedere. Il Vinitaly è a Verona. E, a Milano, non ci sono imitazioni annacquate».

Il convegno su «La frontiera avanzata dell'agroalimentare italiano», organizzato da Antonveneta e Il Sole 24 Ore, si svolgerà a Verona, domani, presso il Palazzo della Gran Guardia, in piazza Bra, dalle 17 alle 19.30. Introduce Andrea Pisaneschi (Presidente Antonveneta). Intervengono: Alberto Bauli (presidente Bauli), Sandro Boscaini (presidente Masi Agricola), Bettina Campedelli (Università degli studi di Verona), Giuseppe Menzi (dg Banca Antonveneta), Giovanni Miozzi (presidente Provincia di Verona), Ettore Riello (presidente Verona fiere), Mauro Rosati (segretario generale Fondazione Qualivita) e Bruno Trentini (dg Cantina di Soave). Iscrizioni: www.ilsole24ore.com/tourmps