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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2011 alle ore 06:42.

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Gli incentivi per il fotovoltaico esistenti in Italia sono stati (almeno fino alla fine dell'anno scorso) tra i più generosi esistenti – senz'altro in Europa – e che ciò ha indotto anche operatori internazionali a tentare grandi investimenti in impianti a terra, soprattutto al Sud su aree agricole o abbandonate.
Il Dlgs 28/2011 si pone l'obiettivo di limitare l'installazione di grandi impianti in zone agricole, imponendo tre tipi di limiti – operanti contemporaneamente – alla possibilità di ricevere incentivi:

1. ogni impianto deve avere una potenza nominale massima di 1 MW;
2. nel caso di terreni appartenenti al medesimo proprietario, gli impianti debbono essere installati a una distanza non inferiore a 2 chilometri l'uno dall'altro;
3. non deve essere destinato all'installazione degli impianti più del 10% della superficie del terreno agricolo nella disponibilità del proponente.

Sono poste tre tipi di deroghe. I limiti non si applicano:
1. ai terreni abbandonati da almeno cinque anni;
2. agli impianti fotovoltaici che hanno conseguito il titolo abilitativo entro la data di entrata in vigore del decreto (cioè entro il 29 marzo scorso);
3. tagli impianti fotovoltaici per cui è stata presentata domanda entro il 1° gennaio 2011.

In entrambi gli ultimi casi, occorre che l'impianto entri in esercizio entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, cioè entro il 29 marzo 2012.
Si noti che il limite dei 2 chilometri, volto a evitare l'affollamento, potrebbe essere aggirato nella prassi cedendo il terreno a un terzo.
L'esclusione dei terreni abbandonati pone tre problemi. Il primo è come provare l'abbandono. Un'ipotesi è che il terreno debba risultare "incolto" al catasto terreni. Ma, poiché il catasto potrebbe non essere sempre aggiornato e i dati non hanno valore di prova, la soluzione è insoddisfacente. Un'altra potrebbe essere una perizia giurata con documentazione fotografica.

Il secondo problema è se il fatto che il terreno sia incolto vada dimostrato prima della richiesta o solo in caso di controlli. La prima soluzione parrebbe la migliore, ma è evidente che il Gse, a cui si chiedono gli incentivi, dovrebbe a quel punto valutare la documentazione e fare controlli. D'altronde, il Comune dove sorge l'impianto non è l'ente che eroga gli incentivi ma solo quello che concede gli assensi all'installazione, che di per sé potrebbe non essere vietata ma solo non incentivata ai sensi del conto energia.

Il terzo problema è da quando scattano i cinque anni di abbandono del terreno. Dalla data di entrata in vigore del Dlgs? Oppure dalla data in cui si chiedono gli incentivi? Entrambe le soluzioni hanno delle pecche. La prima privilegia solo i terreni abbandonati da tempo, rispetto ad altri che potrebbero esserlo tra breve per mancanza di motivi per la coltivazione. La seconda porterebbe ulteriori terreni a non essere coltivati con la speranza di sfruttarli in futuro per il fotovoltaico.

TAG: Gse, Italia

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