Mondiali di calcio Sudafrica 2010

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La seconda vita di Maradona, stella mondiale anche dalla panchina

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2010 alle ore 19:42.

Personaggio, uomo contro, istrione inarrivabile, campione amato e venerato quasi come un santo (con una lunga permanenza sia in paradiso che all'inferno). Tutto questo e molto altro ancora è Diego Armando Maradona, ex Pibe de Oro, attualmente ct dell'Argentina già protagonista al mondiale, serio candidato a diventare una delle figure simbolo di questo Sudafrica 2010. Impossibile descrivere tutto ciò che Diego è stato nella sua vita di uomo, di calciatore, oggi di allenatore.

Giovane prodigio della nazionale albicelste, ha giocato quattro mondiali (1982-1994), ha esordito a 16 anni nella serie A del suo paese con l'Argentinos Junior, ha militato nel Boca, nel Barcellona, a fine carriera nel Siviglia, ma il cuore della sua carriera di calciatore sono stati gli anni del Napoli, che ha portato alla conquista di due scudetti, della Coppa Uefa, della Coppa Italia e della Supercoppa italiana. Diego è stato il vero re di Napoli, il calciatore più amato e idolatrato, l'uomo del riscatto partenopeo, il campione venuto dal nulla capace di immergersi empaticamente fino in fondo nella realtà di una città che è un microcosmo, rappresentandone in un qualche modo l'anima popolare, istrionica, ma desiderosa di affermazione e di successo. Un idolo, Maradona, che fa sognare e che riempie una città di orgoglio, facendola primeggiare.

Ma non è tutto rosa e fiori: di Napoli Maradona conosce anche il lato più nascosto e sordido, quello che lo porta alla squalifica per doping (cocaina) nel 1991, l'esperienza che lo costringe a dire addio all'Italia del calcio. Tutti ricordano le immagini tv, impietose, di un Maradona allucinato prelevato dalla polizia, di notte, dalla casa di un "amico".

Non vogliamo dilungarci qui sul campione che vinse il mondiale 1986 strabiliando tutti, non rinunciando usare la famosa "mano de dios" contro l'Inghilterra: è l'aspetto più noto di Diego Maradona, quello più ammirato. Il canto del cigno negli Usa, nel 1994: Maradona viene fermato dall'antidoping dopo una partita eccezionale in cui segna un gol meraviglioso. La sua carriera calcistica finisce qui. Poi seguiranno gli anni difficili dei tentativi di disintossicarsi dalla droga, dell'aumento di peso, e di molte altre storie di vita e di difficoltà, tra alti e bassi, apparizioni tv e la nascita di un nipotino, figlio dell'ultimogenita Giannina.

Ma arrivamo al Maradona ct, scelto dalla federcalcio argentina a furor di popolo per guidare una nazionale al riscatto sportivo e alla conquista di quel mondiale che proprio il genio calcistico di Diego aveva garantito all'Albiceleste nel 1986. Maradona si distingue per carisma, ma i risultati sono zoppicanti, e la nazionale fatica a qualificarsi ai mondiali sudafricani. Lo fa proprio all'ultima giornata del girone, in una partita mozzafiato contro l'Uruguay. Ai giornalisti che lo avevano aspramente contestato Diego risponde piccato - e con soddisfazione - con un'espressione volgare che farà - tanto per cambiare - il giro del mondo. Da più parti gli viene contestato di non essere un vero allenatore, di non averne la testa, di essere umorale, di privilegiare la fantasia e la qualità dei singoli a scapito del collettivo, di impuntarsi sulle sue idee, di avere delle simpatie. Ma anche questo è Maradona, padre padrone, imprevedibile, rissoso ed elegante a fasi alterne, come con Platini. È passato nel giro di un giorno dal definirlo «un francese che pensa di essere chissà chi e di avere sempre ragione» a scusarsi con lui dopo una telefonata chiarificatrice di Le Roi Michel.

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Con Pelè rimane sempre l'astio del confronto a distanza tra i due monumenti della storia del calcio. Non perdono mai l'ocasione di punzecchiarsi, i due. Alle invero frequenti critiche del re del calcio brasiliano questa volta Diego ha replicato duro, dicendo che «deve tornarsene nel museo». Poco elegante ma efficace. Poco elegante come il completo che indossa durante le partite di questo mondiale, consigliatogli dalle amatissime figlie, ma completamente scordinato con il personaggio, che da anni si presenta come un alfiere del socialismo terzomondista, filocubano e amico di Fidel Castro, antiamericano (regalò una maglietta con il suo numero 10 al presidente iraniano Ahjmadinejad).

Con il fisco italiano ha aperto da tempo un contenzioso per evasione di oltre 30 milioni di euro. Per questo motivo la Guardia di finanza gli ha pignorato - in due momenti diversi - due orologi d'oro e i suoi famosi orecchini (uno dei quali comprato da Fabrizio Miccoli per 25mila euro). Tantissimi fans in giro per il mondo, una chiesa addirittura dedicata a lui a Rosario, ma anche molti "nemici". E se dovesse continuare così l'avventura dell'Argentina al mondiale, Diego potrebbe prendersi grandi soddisfazioni, e non solo sui suoi critici, ma soprattutto nei confronti di un avversario storico come il presidente della Fifa Sepp Blatter, che l'11 luglio dovrà consegnare il trofeo più ambito al capitano della squadra vincente. A meno che Blatter non decida di darsi alla fuga e svanisca nel nulla disertando la cerimonia di premiazione, come già fece nel 2006, a Berlino, quando a vincere il mondiale furono gli azzurri.

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