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Questo articolo è stato pubblicato il 01 maggio 2010 alle ore 07:48.
L'ultima modifica è del 17 giugno 2010 alle ore 18:59.

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Quanto piacciono le fonti rinnovabili di energia. E su tutte, il fotovoltaico. Ma piacciono non solamente a chi deve spendere per realizzare le centrali rese interessanti dagli incentivi più succosi al mondo, come le famiglie che vogliono mettere i pannelli sul tetto di casa o le società elettriche che investono nel rischio imprenditoriale dei progetti industriali, ma soprattutto agli intermediari di autorizzazioni. Piacciono a chi, con l'investimento di un po' di contatti giusti sulla rubrica del telefonino, riesce a piazzare a caro prezzo i fogli di carta con i timbri del comune o la domanda di allacciamento presentata a Terna (la spa dell'alta tensione) o all'azienda di distribuzione elettrica locale. Si stima che alla fine riesca a passare un progetto su quindici. Tant'è che c'è ci pensa a una caparra per frenare i progetti farlocchi.

Sono soldi facili. Quei pezzi banali di carta possono essere rivenduti sul "mercato secondario" a circa 100mila euro per megawatt. Sono state depositate a Terna e all'Enel circa 45mila domande-fotocopia per 152mila megawatt (15,2 miliardi di valore ipotetico sul mercato virtuale). Tre volte la richiesta elettrica massima nell'ora di punta dell'intera Italia: il record assoluto di fabbisogno fu registrato il 17 dicembre 2007 alle ore 17,30 con 56.810 megawatt.
La "bolla" potrebbe scoppiare. I segnali ci sono. In Puglia la domanda furibonda di terreni per la posa di pannelli solari ha distorto i valori delle aree agricole. Gli ecologisti insorgono contro l'invasione fotovoltaica al posto delle colture. Il presidente della Puglia, Nichi Vendola, di fronte alla metastasi dei progetti ha annunciato un freno alle installazioni sui terreni agricoli. Ma il problema è internazionale, con i grandi nomi della finanza (basta pensare a Goldman Sachs) sbilanciati su questo tipo di investimenti. «Non va spezzato il giocattolo per la troppa ingordigia», commenta Antonio Costato, vicepresidente della Confindustria con delega all'energia. «La corsa smodata alle rinnovabili ha già costretto il governo tedesco a intervenire. Noi dobbiamo disciplinare in modo ordinato la materia prima che sia tardi».

Per correre ai ripari prima che la "bolla delle rinnovabili" scoppi – trascindando con sé tanti progetti validi – Terna e la Confindustria propongono un vincolo economico al mercato virtuale. Oggi la domanda di allacciamento costa 1.250 euro. Così Terna pensa che si potrebbe scremare i progetti alzando a 5mila euro per megawatt il costo della domanda di allacciamento. Non a caso Terna e la Confindustria hanno scritto all'Autorità dell'energia una lettera in cui sottolineano l'importanza dell'autorizzazione unica, un solo atto che comprenda la realizzazione dell'impianto e l'allacciamento alla rete.
«Dieci anni fa – ricorda Paride De Masi, imprenditore pugliese attivo nel settore delle rinnovabili – proposi una legge obiettivo per superare le difficoltà contro le infrastrutture energetiche e le rinnovabili. Ora è il momento di riproporre quella soluzione, e ne dibatterò al Festival dell'energia in programma a Lecce. L'Italia non ha alternative: c'è un obiettivo europeo da raggiungere».

Invece, accade che la valanga di carta paralizzi gli uffici regionali che devono dare il via libera. Anni fa, l'ufficio classico con quattro impiegati riusciva a gestire, seppure con lentezza amministrativa, le poche decine di pratiche l'anno. Oggi sulle scrivanie di quei martiri del timbro le richieste si accumulano a centinaia. E alcuni progetti tentano di scavalcare gli ingombri con procedure improprie.
Inoltre tante richieste di allacciamento impongono lavori impegnativi alla rete elettrica. L'anno scorso Terna ha dovuto realizzare 900 chilometri di linee con una spesa di 500 milioni e presto dovrà impegnare 1,1 miliardi. «Tutte le connessioni più semplici sono state prenotate – spiegano a Terna – e ai progetti seri bisogna proporre soluzioni di allacciamento sempre più remote e complesse».

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