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Questo articolo è stato pubblicato il 30 gennaio 2011 alle ore 18:37.

Lasciare l'Italia senza rimpianti. Unirsi alla fuga «silenziosa, dei professionisti validi e normali, che sta avvenendo ogni giorno di più». Anche se ingegnere, appartenente dunque a una delle professioni più "solide" del sistema produttivo. E' la storia di Antonino Pizzuto, ingegnere meccanico siciliano di 34 anni che - a un certo punto della sua vita- ha deciso che era ora di dire "basta". Un "basta" dettato da una semplice domanda: quale futuro, per la figlia appena nata, in Italia?
Ma c'è dell'altro: perché gli ingegneri, i "costruttori" del futuro, lasciano la Penisola? Nella risposta ai due quesiti troviamo la chiave di lettura della storia di Antonino, laureatosi col massimo dei voti all'Università di Catania. Protagonista di un doppio espatrio: prima dalla Sicilia al Piemonte, poi dal Piemonte alla Danimarca. Dove si è messo al lavoro in uno dei settori trainanti dell'industria locale: l'energia rinnovabile. Ottenendo un contratto in una delle aziende leader a livello mondiale.
«La mia esperienza universitaria è stata positiva, forse un po' troppo teorica, ma in generale mi hanno formato molto bene, se teniamo conto che -per anni- ho lavorato con colleghi di mezzo mondo, senza prendere lezioni da nessuno»: forte del suo bagaglio tecnico, Antonino parte così per Torino, dove viene assunto in una grande azienda metalmeccanica. Il processo di selezione è professionale e meritocratico: tre colloqui e test attitudinali, poi il contratto. «Nei primi anni ho fatto un'ottima carriera, con riconoscimenti salariali quasi annuali. Poi - a un certo punto - hanno continuato a crescere solo le responsabilità, ma non lo stipendio - insieme a "straordinari" sempre più pretesi». Quel che è peggio, Antonino osserva progressioni di carriera "sospette", «decise dall'amicizia, piuttosto che dal valore. Il problema è che noi italiani siamo più bravi a costruire relazioni che progetti, e alla fine tendiamo con naturalezza a dare una certa importanza alle prime». Gli "amici degli amici" cominciano a sorpassarlo… ovviamente a destra.
La nascita della figlia rappresenta il detonatore di un sentimento che da tempo covava sotto le ceneri: «il desiderio di un trasferimento all'estero si è trasformato in una necessità. Abbiamo cominciato a chiederci cosa avremmo potuto offrire a lei, e ai suoi eventuali fratelli. Che scuola, se non potevamo permettercene una privata? Che opportunità, se non eravamo ricchi in un Paese dove tutto - ormai - sembra in vendita?»
La moglie - ricercatrice a progetto all'università - era nel frattempo stata messa gentilmente alla porta, non appena aveva comunicato di essere incinta. Antonino comincia a inviare curricula: riceve diverse proposte, in giro per l'Europa, fino a quando non si concretizza quella decisiva. A proporgliela è la Vestas, azienda danese leader nella progettazione e produzione di turbine eoliche. Destinazione: Aarhus, la seconda città del Paese. Antonino fa le valigie: via da «orari assurdi, capi spesso indisponibili al confronto, poca innovazione e molta politica». Presto lo seguiranno altri: «in un semestre, nell'azienda danese dove mi trovo ora, siamo passati da un solo italiano assunto a ben sei».
Dopo l'arrivo in Danimarca, la vita di Antonino e della sua famiglia è radicalmente cambiata. Quello che descrive è un mondo alla rovescia, esattamente speculare al Belpaese: «partiamo dallo stipendio, appena esci dall'Italia praticamente raddoppia. Sistema sociale: quasi tutto è gratis e funziona in modo meraviglioso. Finalmente non mi sento stupido a pagare le tasse. Meritocrazia: qui non è una "favoletta", con cui riempire le discussioni serali in tv. Se vali, sei premiato: io sono stato promosso dopo appena due mesi. Infine, bilancio tra lavoro e vita privata: questa è stata la sorpresa più grande. In Italia si lavora tantissimo, male e per pochi euro. Esistono però Paesi dove - oltre il lavoro - c'è una "vita". Personalmente lavoro duramente dalle 8 alle 16.30: alle 17 sono a casa. Il livello di stress è crollato e la "felicità" è salita alle stelle. Quanti soldi vale il sorriso di tua figlia?»
Antonino rimpiange il sole della sua Sicilia, ma la qualità della vita e del lavoro danesi lo aiutano a superare i lunghi inverni nordici. Resta però un'ultima, amara, considerazione: «la nostra società non è - da anni - realmente democratica. Per me la democrazia finisce, quando il figlio di un impiegato non ha le stesse opportunità di quello di un ricco. Io vorrei che mia figlia potesse scegliere cosa fare nella vita, con tante possibilità avanti. Onestamente, questo è possibile - oggi - in Italia?».
Sergio Nava è il conduttore di "Giovani Talenti" su Radio 24
(sabato, ore 13.30-13.55 CET)
GIOVANI TALENTI: http://www.radio24.ilsole24ore.com/main.php?dirprog=Giovani%20talenti.
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