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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 08:40.
Il tema delle risorse rinnovabili è al centro delle politiche energetiche dei paesi europei per gli impegni vincolanti di sviluppo da loro sottoscritti nel Pacchetto "energia-clima" (20% dei consumi finali entro il 2020, 17% per l'Italia) e per la necessità di riformare politiche di incentivazione talora troppo onerose. Così è accaduto anche nel nostro Paese, con la proposta governativa di decreto legislativo di recepimento della Direttiva europea sulla promozione delle rinnovabili. Tra le sue maggiori novità vi è l'introduzione nel settore eolico (seconda tra le rinnovabili, prima nel loro atteso sviluppo) di un sistema di aste al ribasso, con un floor price incerto e indefinito, quale alternativa allo schema sinora riconosciuto dei certificati verdi. Sebbene le aste evochino un meccanismo competitivo e trasparente, un'attenta analisi delle sue scarne applicazioni estere suggerisce di valutarne con molta prudenza l'efficacia e l'efficienza.
Nell'Unione europea ben 21 Paesi utilizzano soprattutto strumenti di prezzo (cosiddette tariffe feed-in o feed in premium) e non le aste. In Europa, solo Danimarca e Francia vi hanno fatto ricorso in maniera peraltro sporadica e complementare a schemi di incentivi a tariffa, mentre Inghilterra e Portogallo lo hanno abbandonato per i modesti risultati conseguiti. La stessa Commissione europea ha raccomandato l'adozione in primis di tariffe feed-in e in seconda battuta dei certificati verdi, ma non delle aste. Perché allora ricorrervi date le negative esperienze estere, la nostra assoluta inesperienza, l'introduzione di contradditori criteri altrove non riscontrabili (floor price)? Le ragioni del flop delle aste sono riassumibili in tre punti. Primo: l'intero processo realizzativo non è più determinato dal rischio d'impresa ma dai tempi dell'amministrazione e dai contenziosi amministrativi, ove l'Italia non è seconda a nessuno. Secondo: la partecipazione all'asta si configura come un costo non recuperabile per i concorrenti non vincitori, essendo generalmente previste penali in caso di rinuncia che, se troppo elevate, disincentivano la partecipazione a vantaggio degli operatori di maggior dimensione, non necessariamente i più efficienti. Terzo: le aste si prestano a comportamenti strategici dei maggiori operatori con esiti non allineati a standard di efficienza tipici di assetti concorrenziali.
Esistono correttivi teorici a questi rischi, che finirebbero per alimentare la complessità di una macchina burocratico-amministrativa già talmente farraginosa per i vari livelli decisionali (centrali e locali) da costituire una forte barriera all'entrata. L'interrogativo è, in conclusione, se sia conveniente bandire aste per impianti la cui soglia minima di 5 Mw corrisponde all'installazione di sole due pale eoliche? Il buon senso direbbe di no, a meno che non si vogliano favorire le maggiori imprese, col rischio di una deriva del mercato elettrico verso assetti ancor più oligopolistici e ricadute negative sui prezzi di mercato. In un settore industriale in forte crescita, qual è l'intero comparto delle rinnovabili – ove altri paesi hanno saputo costruire robuste industrie nazionali con elevato impatto occupazionale – il legislatore avrebbe dovuto mirare soprattutto a creare le condizioni utili al consolidamento di una robusta industria italiana. Assicurando agli investitori un quadro certo e stabile di regole evitando i continui cambiamenti che hanno ridotto la propensione ad investire e la finanziabilità dei progetti, accrescendo il rischio di mercato ed il rendimento atteso a danno dei consumatori. Inoltre, rendendo l'industria delle rinnovabili più trasparente ed efficiente, con interventi sulla defatigante lunghezza, vischiosità, opacità dei processi autorizzativi e vincolando la richiesta delle autorizzazioni all'effettiva realizzazione degli impianti, così da eliminare comportamenti poco commendevoli e talora corruttivi da parte di intermediari che lucrano dalla cessione delle autorizzazioni ottenute, con effetti sui costi molto più consistenti di quelli che (forse) si conseguirebbero col ricorso alle aste. Solo costruendo una solida base industriale nazionale si potrà gradualmente uscire dalla logica assistenziale.
Docente di Economia Industriale all'Università di Bologna
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