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Questo articolo è stato pubblicato il 04 febbraio 2011 alle ore 10:15.
ROMA - Avanti tutta, giura il governo. Non spaventa (almeno nelle dichiarazioni ufficiali) la sentenza della Corte Costituzionale che ieri l'altro ha accolto uno dei ricorsi presentati dalle regioni sulle norme per il ritorno dell'Italia all'energia nucleare.
L'articolo 4 del decreto 31 del marzo 2010 che traccia i criteri per la localizzazione dei siti e per le compensazioni locali non rispetterebbe, secondo la Consulta, il principio che vincola non solo al parere seppur non vincolante delle Regioni sul criteri dell'operazione ma anche del parere specifico della singola regione (anche questo non vincolante) su ogni sito eventualmente individuato su suo territorio.
È, come al solito, scontro di interpretazioni. Brindano gli oppositori all'atomo, che considerano la censura della Consulta uno stop al già problematico processo negoziale con le amministrazioni locali e alla difficile operazione di rassicurazione e convincimento delle popolazioni. Brindano e le opposizioni parlamentari che hanno fatto del no all'atomo un'arma politica.
Uno stop vero? O quanto meno un nuovo concreto ostacolo? Gli uomini di governo smentiscono. Rassicurano. E in ogni caso lanciano un nuovo ponte negoziale con le stesse regioni dissidenti. A disinnescare la sentenza della Consulta – fanno osservare – è comunque una correzione del decreto 31 che era già in corso. Con un nuovo decreto integrativo, o addirittura sostitutivo, in caldo tra i ministeri dello Sviluppo, dell'Ambiente e dell'Economia. Arriverà – annunciano – entro marzo. Nessun ritardo procedurale. Semplicemente un aggiustamento (l'ennesimo) in corso d'opera, già programmato. E poi c'è un aspetto comunque decisivo: al di là delle liturgie normative sulla consultazioni Stato-Regioni, si tratta di pareri non vincolanti. Principio che la Consulta non mette in discussione.
Gli intralci al nucleare, a ben vedere, erano e restano altri. Non di forma né di procedure, ma di sostanza. Le regioni potranno essere minimamente disponibili se adeguatamente oliate, rassicurate e soprattutto "compensate" anche con i mezzi finanziari tracciati nel quadro normativo messo in campo dal governo? «Cercheremo con impegno un accordo» giura il ministro dello sviluppo Paolo Romani. Operazione impervia con le regioni in mano alle opposizioni, magari solo per ragioni di strategia politica (sappiamo bene che anche nel centrosinistra le disponibilità verso l'atomo non mancherebbero). Ma anche con le regioni "amiche" la missione non è meno accidentata.
Emblematica la nuova puntualizzazione del Governatore della Lombardia, Roberto Formigoni. Che ripropone la sua tesi, curiosa politicamente e fragile tecnicamente: nucleare scelta ottima e opportuna, ma inutile e comunque impraticabile in Lombardia in quanto regione «energeticamente autosufficiente». E comunque «non vedo neanche siti adeguati per localizzare centrali nucleari». Opportunità politica a parte, fanno osservare gli esperti che la Lombardia non è affatto autosufficiente, anzi patisce un deficit tra produzione e consumo di elettricità superiore alla soglia record del 30 per cento.
Quanto alla compatibilità dei siti con il nucleare tutto (disamina, giudizio, validazione) è demandato agli studi coordinati dalla nascente Agenzia per la sicurezza nucleare. Agenzia che rischia peraltro di passarsela male sin dalle prime battute pre-operative. Il suo "nucleo" di super-esperti dovrebbe essere costituito da 100 scienziati conferiti per la metà dall'Enea e per il resto dall'Ispra.
I due istituti hanno raccolto i loro strateghi e hanno fatto la conta. All'Ispra – rivelano gli analisti di Quotidiano Energia – gli addetti con una competenza sull'atomo sono in tutto una ventina. E all'Enea il quadro è solo teoricamente migliore. Il transito di 50 esperti svuoterebbe nei fatti il dipartimento nucleare. E in lista sarebbero state messe, anche qui, non più di 20 persone: 10 esperti più 10 giovani tecnici ancora in fase di formazione.
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