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Questo articolo è stato pubblicato il 23 febbraio 2011 alle ore 17:16.

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Il gas e gli oleodotti in Libia. Mappa delle infrastrutture energeticheIl gas e gli oleodotti in Libia. Mappa delle infrastrutture energetiche

ROMA - Rubinetti ufficialmente chiusi per oltre il 10% del gas che importiamo, e ufficiosamente chiusi per una quota doppia di petrolio. La Libia rischia di mandarci in affanno energetico? Per le prossime settimane nessun problema, dicono all'unisono il gigante Eni e il nostro Governo. Per il petrolio il mercato spot internazionale, affidato alle petroliere che vanno e vengono cambiando l'itinerario anche all'istante, rende la rassicurazione plausibile, per ora. Non così per il sempre più imperante metano, di cui l'Italia è campione mondiale di dipendenza.

Da Greenstream agli oleodotti tutte le mappe sulle infrastrutture energetiche in Libia.

Quasi tutto il gas che ci arriva corre nei grandi tubi, nel caso della Libia attraverso il Greenstream da 8 miliardi di metri cubi annui che unisce le coste di Tripoli con Gela, in Sicilia. Realizzato dall'Eni solo 5 anni fa per santificare l'asse energetico con Gheddafi ieri il Greenstream (il tubo più lungo, 520 chilometri, e profondo, oltre mille metri, del Mediterraneo) è stato chiuso in progressione dal suo gestore e padrone: prima la sospensione dell'alimentazione, di cui il cane a sei zampe ha preso semplicemente atto dopo un inizio mattinata che sembrava tranquillizzante, poi «in via precauzionale» l'atto supremo: lo svuotamento completo del contenuto. «Per sicurezza» hanno precisato all'Eni sottolineando che tutto, quando si potrà, potrà tornare a regime in un paio di giorni.

Fino a ieri sera nessun sabotaggio delle infrastrutture di gas e petrolio. Ma la situazione evolve di ora in ora. Prova ne sia il drastico piano di evacuazione del personale Eni (e non solo Eni) dalla Libia. Rimangono poche decine di tecnici «presso i siti operativi e il presidio di Tripoli». Il resto, a partire dai familiari, va a casa. E non solo per il timore delle evoluzioni. I segnali di qualche saccheggio, qualche atto magari semplicemente "collaterale", hanno permeato la cortina dei messaggi strategicamente tranquillizzanti.

Il futuro, a partire da quello imminente? «Le procedure di messa in sicurezza» attivate da Eni per Greenstream «consentono un'opportuna tutela tecnica del gasdotto e non comportano alcun problema – garantisce il ministero in una nota ufficiale – per la sicurezza degli approvvigionamenti e il consumo di gas», che saranno comunque assicurati «per il medio e lungo periodo». Questo perché importiamo il metano «da diversi Paesi, attraverso un sistema differenziato di fonti e gasdotti, di cui quello libico rappresenta circa un decimo delle attuali forniture» affiancandosi all'import sempre a Sud dall'Algeria e a Nord dalla Russia e dalla Norvegia. E poi i nostri stoccaggi possono «consentire, in caso di necessità, di avere un'ulteriore riserva».

In ogni caso il ministero annuncia una seduta permanente del "comitato di crisi" sul gas costituito ai tempi dei litigi tra Russia e Ucraina. Ed è qui la corretta chiave di lettura dello scenario che attutisce almeno un po' – osservano gli analisti - lo scenario tranquillizzante ostentato dalle nostre istituzioni. E' vero che l'import di gas dalla Libia vale poco più del 10% del nostro import (nel 2010 9,4 miliardi di metri cubi per circa l'11%) ma le altre fonti di approvvigionamento sono comunque vicine al limite, o comunque con una capacità di riserva ridotta.

Teoricamente – come sottolinea il ministro dello sviluppo Paolo Romani – abbiamo spazio per incrementare i flussi alternativi del 20%, anche grazie ad una richiesta del gas ancora non riallineata al pre-crisi. Insomma, con le riserve energetiche a disposizione, l'Italia potrebbe arrivare fino a luglio. Ma è anche vero che una parte consistente delle forniture, quelle dal Nord attraverso la Svizzera (più di quanto importavamo dalla Libia) sono vincolate al gasdotto Transitgas, che ha avuto guasti importanti nei mesi scorsi e ora funziona provvisoriamente. Senza contare i tremori patiti nelle scorse settimane per le sorti del gasdotto algerino che transita in Tunisia. Regioni, come sappiamo, tutt'altro che tranquille.
Si incrociano le dita. E le previsioni. Anche quelle più azzardate. Gli analisti di Althesys stimano «nel caso il blocco durasse un anno» e naturalmente non fosse in alcun modo compensato, un aumento delle bollette elettriche del 7,6%, a fronte della crescita del 20% del costo di produzione della nostra elettricità, che dipende praticamente per intero dal gas.

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