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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 14:04.

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FRANCOFORTE - Dal 6 al 15 maggio si terrà come ogni anno in Germania la Woche der Sonne, la settimana del sole, con presentazioni, fiere, conferenze, incontri e altri eventi tutti dedicati all'energia solare. Non c'è paese al mondo che abbia cavalcato con così tanta passione ed entusiasmo le energie rinnovabili. Oggi la sfida è di far sì che la svolta verde sia veramente sostenibile.
Ormai il 17% dell'elettricità tedesca dipende da fonti rinnovabili (principalmente sole, acqua, vento, biomassa). L'aumento negli ultimi dieci anni è stato straordinario, in parte da attribuire a una legge entrata in vigore nel 2000 - il ministro per l'Ambiente era allora il verde Jürgen Trittin - che ha introdotto un meccanismo di sussidi poi replicato in molti Paesi del mondo.

Per incentivare l'uso delle fonti ecologiche, il Governo federale ha permesso a chiunque - imprese e famiglie - di vendere alle aziende elettriche l'eccesso di energia prodotto da fonti rinnovabili, vale a dire dai pannelli solari posti sul tetto di un'abitazione o dai mulini a vento costruiti nei campi di una fattoria. Incentivi generosi hanno contribuito a un forte aumento nell'uso delle rinnovabili.
In un primo tempo l'energia elettrica ottenuta dal sole è stata venduta a 50,62 centesimi di euro al Kwh. Gradualmente l'incentivo è calato. Nella prima metà di quest'anno ammonta a 28,74 centesimi di euro. Il Governo democristiano-liberale ha deciso di ridurlo del 15% dall'estate 2011, pur di raffreddare un mercato surriscaldato: nel solo 2010 la potenza installata è salita da 10mila megawatt a 17mila megawatt.

Gli esperti calcolano che gli incentivi, riversati sulle bollette, ammontano ogni anno a circa 5,5 miliardi di euro. «Vi è sempre stato il pericolo di fissare le tariffe o a un livello troppo basso per creare un mercato o a un livello troppo alto, col rischio di provocare una bolla. La sfida in questo caso è di capire come e quando ridurre i prezzi», spiega Phil Dominy, un analista di Ernst & Young.
Parallelamente, il Governo ha sostenuto l'industria ambientale finanziando la ricerca e promuovendo l'export. Oggi il settore delle energie rinnovabili dà lavoro a 370mila persone, con un aumento dell'8% rispetto al 2009. La Germania è ormai un grande esportatore mondiale, anche se deve fare i conti con la concorrenza di Cina e Stati Uniti che possono mettere in campo economie di scala più grandi.

Un recente rapporto del centro-studi RWI di Essen calcola che gli aiuti cumulati al settore delle energie rinnovabili ammonteranno dal 2000 al 2013 a 77 miliardi di euro. Alcuni osservatori sostengono che la politica economica tedesca ha certamente contribuito a creare un nuovo settore economico, ma si chiede se il mercato non sia segnato da troppe distorsioni.
In ogni caso, il successo della Germania in questo campo è da attribuire anche a un amore tutto tedesco per le tecnologie innovative e a un'innata capacità del cittadino tedesco di mostrare una costanza invidiabile. Tanto che sulla scia del disastro atomico di Fukushima, il cancelliere Angela Merkel ha deciso di studiare una possibile uscita dal nucleare, che ancora oggi produce il 22% dell'elettricità tedesca.

In un documento pubblicato nei giorni scorsi il Governo democristiano-liberale ha messo l'accento sulla necessità di rafforzare la rete elettrica che collega i vari impianti solari ed eolici, di incentivare la costruzione di edifici ecologici e di finanziare nuova ricerca anche con denaro statale. Per questo la mano pubblica vuole mettere a disposizione delle imprese crediti per cinque miliardi di euro.
Il più recente piano energetico nazionale prevedeva che l'80% dell'elettricità e il 60% dell'energia dovessero provenire da fonti rinnovabili entro il 2050. Riuscirà la Germania ad anticipare questi obiettivi abbandonando il nucleare? L'establishment tedesco dovrà decidere non solo se i costi varranno la candela ma quanto le energie ecologiche siano veramente compatibili con le necessità di un grande paese industriale.

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