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Questo articolo è stato pubblicato il 24 aprile 2011 alle ore 14:03.

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LONDRA - Si chiamava petrolio, si chiamerà vento. È ancora una volta nel mare del Nord che il Regno Unito troverà le risorse per garantirsi energia. Più che una previsione è una speranza, la prospettiva di una scalata impervia che dovrà portare Londra dal 3% di energia (non solo elettrica) prodotta oggi da fonti rinnovabili al 15% del 2020. «Un target ridotto rispetto alla media Ue - commentano al ministero per l'Energia - proprio per la realtà da cui partiamo». Solo Malta e Lussemburgo, fra i 27, fanno meno del Regno Unito. L'energia pulita è divenuta priorità al crepuscolo della stagione laburista e continua a esserlo all'alba di quella del Governo liberal-conservatore, colto dal diffuso dubbio sul futuro del nuclare. Il ministro LibDem Chris Huhne ha messo l'atomo in lista d'attesa.

La consapevolezza sull'esigenza di dare a Londra quote decenti di energia rinnovabile è trasversale, ma le polemiche non mancano e riguardano le politiche a sostegno più che i progetti avviati. Il più grande è scattato nel settembre del 2010 con il maggiore parco eolico offshore al mondo. Al largo di Thanet, in Kent, la svedese Vattenfall ha dispiegato 100 turbine su un'area di 35 km quadrati al costo di 780 milioni di sterline. Prologo al London Array nell'estuario del Tamigi dove saranno piazzate 341 turbine grazie all'investimento di E.On. Parchi che faranno solo da apripista al Round 3, piano per installare 1.700 colossi a elica al largo della costa orientale del Paese. Nel 2020, quindi, Londra, avrà nel vento l'alternativa energetica di maggior peso al fianco delle biomasse.

Il Governo non concede benefici economici diretti, ma dal 2002 obbliga i distributori ad acquistare quote crescenti di energia da fonti rinnovabili. Oggi la percentuale richiesta è pari al 10% del totale distribuito. I produttori ottengono i contratti Roc, ovvero documenti che provano la produzione e il commerciano attraverso l'authority del settore. Il risultato, finora è discutibile, visti i piccoli numeri generati. Al sole, in Gran Bretagna, tocca un ruolo meno centrale per ragioni meteorologiche. Eppure è dal solare che si alzano le maggiori polemiche. Il Governo ha tagliato del 70% i sussidi (29 pence per megawatt di sovrapprezzo pagato dalle società di distribuzione che si rifanno sui consumatori) attraverso il sistema feed in tariff, che prevede l'immissione nella rete dell'energia non utilizzata per uso proprio. «Era una misura destinata ai piccoli produttori - dicono al ministero - che però è diventata oggetto dell'interesse dei più grandi». In altre parole quello che doveva essere un meccanismo per indurre piccoli proprietari terrieri a sviluppare il fotovoltaico sarebbe stato dirottato da gruppi più grandi in cerca di utili. «In realtà - dicono gli operatori del settore già pronti a dare battaglia - concedere aiuti a chi produce non più di 50 kw come vuole fare il Governo è il modo migliore frenare lo sviluppo delle rinnovabili».

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