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Questo articolo è stato pubblicato il 02 maggio 2011 alle ore 17:40.
Crisi delle finanze pubbliche, quotazioni del greggio alle stelle, difficoltà di approvvigionamento. Il modello su cui si è fondata la strategia energetica del mondo industrializzato fino ad oggi sembra avviato all'archivio. Si parla di una terza rivoluzione industriale, a bassa intensità di carbonio, per dare il cambio alla seconda, spinta dal motore a combustione interna. E il perno su cui si basa questa rivoluzione sono le fonti rinnovabili, che producono energia pulita: vento e sole in primis, ma anche biomasse, mini-idroelettrico e geotermia. Negli ultimi dieci anni, l'aumento complessivo di valore di questo comparto è stato eccezionale.
Basta sfogliare l'ultimo rapporto Clean Edge per rendersene conto: nel decimo anniversario della sua nascita, la società fa notare quanto fosse inusuale la definizione clean tech quando pubblicò il primo rapporto, nell'aprile del 2001 (era appena scoppiata la bolla Internet, per chi non se lo ricordasse). Solo un istituto al mondo, in India, aveva inserito nel suo nome il concetto clean tech. Dieci anni dopo, è diventato un termine di uso corrente e un settore di tutto rispetto. Prendiamo ad esempio il fotovoltaico: un tasso medio annuo di crescita del 39,8% ha fatto moltiplicare il fatturato del settore per 28 volte nel decennio, fino a toccare un valore di 71,2 miliardi. L'eolico, nello stesso periodo, è cresciuto con un tasso medio annuo del 29,7%, moltiplicando il suo valore per 13 fino ai 60,5 miliardi del 2010. Grande sviluppo anche negli altri comparti della green economy, come l'edilizia sostenibile: nel 2000 solo 3 edifici al mondo erano targati Leed (Leadership in Energy and Environmental Design), nel 2010 erano 8.138.
E l'exploit promette di continuare. Dal 2009 al 2010 i ricavi di fotovoltaico, eolico e biocarburanti messi assieme sono cresciuti del 35,2%. Al 2020 - prevede Clean Edge - il mercato del fotovoltaico arriverà a un giro d'affari di oltre 113 miliardi e quello dell'eolico toccherà i 123 miliardi di dollari. Buone le previsioni per il futuro: il clean tech sembra essere il settore più vitale dell'economia. Nel 2000 meno dell'1% degli investimenti in venture capital statunitensi erano andati al settore low carbon, nel 2010 il settore ha attirato più investimenti di tutti gli altri: oltre il 23% del totale. Soldi che andranno a spingere le evoluzioni tecnologiche e le aziende più promettenti dell'economia verde. Tra i comparti chiave citati nel report ci sono i veicoli elettrici, l'illuminazione efficiente e l'edilizia sostenibile a basso consumo di energia.
Ma il problema delle fonti rinnovabili, nonostante la crescita stratosferica, resta quello di sempre: non sono ancora competitive con le fonti fossili, per cui dipendono dagli incentivi pubblici per svilupparsi. Dall'andamento dell'Irex, l'Italian Renewable Index, che quest'anno è sceso del 5%, a fronte di un Ftse Mib positivo, si può chiaramente dedurre come qualcosa non funzioni nel sistema d'incentivazione italiano dell'energia pulita. "L'indice segue anche questo dato, non c'è dubbio", conferma Alessandro Marangoni, ad di Althesys, casa madre dell'Irex. I continui cambiamenti in corso d'opera nell'incentivazione alle rinnovabili, che hanno scatenato anche un contenzioso europeo con il commissario all'Energia Guenther Oettinger, da parecchi mesi stanno tagliando le gambe sia alla crescita del fotovoltaico che dell'eolico, due comparti in grande espansione prima della riforma.
Ma ci sono anche altre considerazioni che giocano sulle differenze di sviluppo delle rinnovabili da Paese a Paese. In Italia, ad esempio, c'è molto sole ma poco vento, per cui l'eolico è molto caro da realizzare e ha pochi margini, mentre il fotovoltaico è più conveniente, soprattutto al Sud. "Come tutte le fonti energetiche, anche le fonti rinnovabili bisogna andarle a cercare là dove si trovano", commenta Marangoni, che ha messo a confronto costi di produzione e ricavi di eolico e solare nei vari Paesi, ottenendo risultati interessanti. "E' chiaro che se un impianto equivalente lavora il 30-40% in più o in meno, i ricavi cambiano parecchio", fa notare, riferendosi alla forza del vento, che in Danimarca soffia in media 2500 ore all'anno, mentre in Italia non va oltre le 1800 ore. Stesso discorso per il fotovoltaico: se nel Sud Italia il sole splende su un pannello per 1800 ore all'anno e al Nord per 1200, conviene andarlo a cogliere dove ce n'è di più. In Francia, la differenza è compensata dagli incentivi pubblici, che tengono conto del divario fra i rendimenti. In Italia, per ora, il federalismo del solare non c'è. Eppure le province più fotovoltaiche della penisola sono Bolzano e Brescia.
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