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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2011 alle ore 14:53.
Negli ultimi anni in Italia l'eolico è cresciuto a ritmi sostenuti fino ad arrivare nel 2010 a una potenza installata pari a 5.757 MW e a una produzione di 8.400 GWh, contro i 4.849 MW e i 6.700 GWh del 2009 (Dati Anev-Terna). Tuttavia, dalla seconda metà dello scorso anno gli addetti ai lavori registrano un rallentamento vistoso degli investimenti, una prolungata fase di incertezza che investe tutto il settore.
«Già nel 2010 – spiega Simone Togni, neo presidente di Anev (Associazione nazionale energia del vento) –, anche se i numeri mostrano un'espansione legata a investimenti effettuati negli anni precedenti, si è avuta una riduzione delle nuove iniziative. Negli ultimi due anni il governo ha omesso di elevare la quota di rinnovabili che gli operatori tradizionali devono produrre, in armonia con i nuovi standard imposti dalla direttiva europea 28/09, recepita dal piano di azione nazionale per le fonti rinnovabili.
Il che significa che non si è adeguata al rialzo la domanda di certificati verdi che chi produce energia attraverso fonti fossili deve acquistare per non incorrere in una sanzione. Nel frattempo l'aumento dell'offerta dei certificati verdi ne ha fatto crollare il valore. Così, con una remunerazione complessiva oscillante tra i 140 e i 150 euro al MW è stato inevitabile che gli operatori perdessero interesse a far partire nuovi progetti. Questa è la ragione dello stop registrato negli ultimi dodici mesi».
E le cose non sono migliorate dopo che, con il decreto sulle rinnovabili del marzo scorso, il governo ha deciso di ridurre del 22% il valore dei certificati verdi, rispetto ai livelli previsti dalla Finanziaria varata nel dicembre 2007. «In pratica – continua Togni – si è deciso di congelare la quota di certificati verdi che i produttori di energia da fonti fossili devono acquistare, prevedendo che questa scenda anno dopo anno per arrivare a zero nel 2015. Si è parallelamente stabilito che la parte eccedente di certificati verdi venga assorbita, con un anno di ritardo rispetto all'emissione, da parte del Gse, fino a esaurire tutti i certificati verdi circolanti entro il 2015. Tuttavia, il taglio del 22% sul valore dei certificati verdi deciso dal governo non permette una remunerazione adeguata dell'investimento».
Le speranze degli addetti ai lavori sono riposte nel prossimo decreto, atteso per settembre, che ridefinirà il regime degli incentivi dell'eolico, mandando in pensione i certificati verdi e sostituendoli con una tariffa feed-in di entità variabile in base alla potenza degli impianti. I nuovi incentivi saranno operativi dal 2013 per gli impianti di nuova realizzazione e dal 2015 per i parchi eolici già esistenti. «Valuteremmo positivamente un livello di incentivi anche di poco superiore a quello odierno, che riduca l'entità del taglio definito con il decreto del marzo scorso – afferma Togni –.
Andrebbe già bene passare dal 22% attuale al 15 per cento. Sarebbe meglio se gli incentivi avessero una durata più lunga rispetto ai 15 anni previsti oggi in Italia, come del resto chiede la Ue. Questo non toglie – continua Togni – che più avanti, probabilmente tra il 2025 e il 2030, dovrebbe essere possibile fare a meno degli incentivi, grazie all'abbattimento dei costi di investimento e al crescere del prezzo dell'elettricità. Ancora, conviene affrontare il problema dei ritardi burocratici. La normativa europea stabilisce che l'autorizzazione per realizzare un impianto può essere concessa o negata dalla regione entro 180 giorni. In Italia, però, spesso l'autorizzazione arriva tre o anche cinque anni dopo la domanda».
Un'altra questione da risolvere è quella legata alla mancata immissione in rete di tutta l'energia elettrica che impianti eolici sono in grado di produrre. «Lo scorso anno – conclude Togni – non è stato immesso in rete circa l'8% del potenziale dell'eolico, poiché le infrastrutture in alcuni punti non sono idonee a sopportare i picchi di produzione che si verificano in condizioni di particolare ventosità. Lo spreco di energia non riguarda gli impianti più nuovi, ma solo alcuni parchi situati tra la Campania e la Puglia. Dal 2007 Terna ha investito per migliorare l'efficienza della rete: il problema dovrebbe essere risolto nel giro di due anni».
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