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Questo articolo è stato pubblicato il 10 luglio 2012 alle ore 12:51.

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Pochi abitanti, meno rifiuti, più raccolta e riciclo. Starà forse nella piccola dimensione il segreto del successo dei piccoli centri nell'iniziativa di Legambiente i «Comuni ricicloni», l'annuale indagine sulla gestione dei rifiuti urbani. Secondo il dossier 2012 – che sarà presentato domani a Roma con la premiazione delle migliori performance – in testa alla classifica si colloca, per il terzo anno consecutivo, Ponte nelle Alpi (Bl), poco più di 8.500 abitanti. Anche tra le realtà sopra i 10mila residenti a spiccare sono centri che non superano quota 20mila anime: come Preganziol (Tv) al Nord, Montelupo Fiorentino (Fi) al Centro e Sala Consilina (Sa) al Sud.

Va sottolineato che "Comuni ricicloni 2012" – realizzato da Ecosportello rifiuti di Legambiente con la collaborazione del ministero Ambiente, Federambiente, Conai e consorzi per la raccolta e il recupero – per l'elaborazione del "voto" utilizza un "indice di buona gestione" che non si limita a confrontare la quota di raccolta differenziata (Rd), ma considera anche altri parametri (23 in tutto, tra cui recupero, riduzione degli scarti, compostaggio domestico, politiche "verdi" delle amministrazioni pubbliche).

Ma anche essere nel Nord Est è una costante premiante, visto che la top ten dei "ricicloni" è presidiata da Comuni veneti o trentini (si veda la tabella) e nelle prime 50 posizioni sono 46 quelli dell'area. Al Sud, invece, si mettono in luce i Comuni salernitani (come Sala Consilina o Tortorella). Pochi invece i capoluoghi di provincia che emergono: Pordenone (prima da due anni), Belluno e Verbania, oltre a Salerno (unica rappresentante del Sud) e Novara tra i centri con più di 100mila abitanti. Voto insufficiente alle "metropoli", con Milano in stand by al 30% di Rd e Roma al palo.

Dalle risposte degli enti aderenti a "Comuni ricicloni" si riscontra anche un calo della produzione dei rifiuti, pari al 4,4%. «Segno evidente di crisi – commenta Andrea Poggio, vicedirettore di Legambiente – di "decrescita infelice". Ma anche frutto delle iniziative volte al contenimento della produzione dei rifiuti avviate da progettisti, produttori, Comuni virtuosi, cittadini attenti al valore d'uso delle cose che si comprano e si gettano. Insomma dalla crisi usciremo diversi da come siamo entrati. Sono passati circa 30 anni da quando si sono messe in Italia le fondamenta giuridiche e industriali del settore rifiuti e già tutto è cambiato. Allora si regolamentavano discariche e inceneritori. Oggi nella "green economy" del riciclaggio operano migliaia di aziende, decine di migliaia di occupati, servizi, imprese sociali e attività di ricerca: con 5mila imprese e 150mila addetti il settore, per l'attivazione del quale il ruolo dei consorzi è stato cruciale, è secondo in Europa solo alla Germania e rappresenta una parte importante del manifatturiero e dei servizi».

Certo che anche questa ricerca ci restituisce un'Italia a due velocità. «Il piccolo gruppo di pionieri dei primi anni della ricerca ora è diventata una pattuglia che tira la volata – osserva Poggio – ma un migliaio di Comuni è fermo all'anno zero. L'aspetto significativo è che il gruppo intermedio in fase di transizione verso l'efficienza riesce, in tempi brevi, a raggiungere il vertice. Un esempio sono i quartieri di Torino dove è partito il porta-a-porta e che già sono oltre il 60%, le recenti sperimentazioni in zone di Napoli e Palermo, il riavvio a Milano dell'organico».

Ma c'è lo spettro dei vincoli di bilancio. «Potrebbe rappresentare un alibi per le amministrazioni inefficienti – spiega Poggio – ma quelle che hanno iniziato il cammino della buona gestione dei rifiuti hanno interesse a completarlo: solo così, oltre ai costi avranno anche i vantaggi, con una riduzione degli oneri complessivi».

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