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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2012 alle ore 16:04.
L'energia solare è uno dei pochi settori che, anche in questi anni di crisi, sta segnando numeri positivi dal punto di vista degli investimenti e del fatturato. Non stupisce perciò che le attenzioni dei Paesi leader dell'economia mondiale siano puntate su questa tecnologia, cruciale per la generazione energetica del presente ma, soprattutto, del futuro.
Lo scorso maggio gli Usa hanno dato il via ufficiale alla guerra del fotovoltaico, introducendo pesanti dazi contro l'importazione di pannelli dalla Cina. La notizia è che presto anche l'Ue potrebbe seguirla su questa strada dato che, come ha anticipato il Financial Times, l'industria fotovoltaica europea si appresta a chiedere misure simili a Bruxelles. Le tensioni internazionali hanno origine dalla repentina caduta dei prezzi dei pannelli solari che si è verificata nel 2011: il valore di mercato di celle e moduli è crollato a livello globale di oltre il 60% a causa dell'aggressiva politica di prezzi low cost praticata dai produttori asiatici. Tutti gli operatori occidentali hanno pagato la rincorsa al ribasso, tanto che nomi storici del settore come Q-Cells, Solon e l'italiana MX hanno vissuto e stanno tuttora vivendo momenti difficili dal punto di vista finanziario.
L'accusa dell'industria europea è che i prezzi cinesi siano inferiori per effetto del dumping, ossia per il sostegno economico assicurato dal Governo di Pechino ai produttori nazionali di pannelli, in violazione delle norme sulla concorrenza stabilite dal Wto. La tesi è stata ovviamente respinta dai dirigenti della Repubblica Popolare ma, quel che è certo, è che la Cina lo scorso anno ha controllato il 43% della produzione mondiale di moduli fotovoltaici, la vicina Taiwan un altro 18%, mentre Europa (8%) e Usa (3%) sembrano ormai avere un ruolo marginale. Anche in Italia, dei circa 6 GW complessivi di impianti fotovoltaici installati nel 2011, meno di un decimo è stato realizzato con pannelli di produzione nazionale, tanto che le linee produttive dell'industria di settore hanno viaggiato a meno del 50% anche in un anno positivo.
Il nostro Paese ha cercato in qualche modo di limitare l'importazione di prodotti cinesi attraverso l'istituzione di bonus per i possessori di impianti che decidono di impiegare celle e moduli di fabbricazione europea (misura confermata anche nel recente quinto Conto energia), ma i risultati non sono stati quelli sperati: il premio è stato spesso riconosciuto anche a pannelli fabbricati in Cina ma poi assemblati o rimarchiati sul suolo europeo. I primi a ribellarsi in modo concreto all'invasione dei pannelli asiatici sono stati gli Usa, dove le importazioni cinesi avevano raggiunto un valore complessivo di 3,1 miliardi di dollari nel 2011, il doppio rispetto all'anno precedente, cinque volte tanto rispetto al 2009. Washington, preoccupata che il settore finisse in pieno controllo cinese, ha perciò sposato la denuncia promossa da Solar World e da altri nomi delle industria del solare a stelle e strisce, ed ha introdotto pesanti dazi all'import di celle e moduli dal Paese del dragone. Anche i produttori europei da tempo invocano una misura simile e si apprestano a promuovere una causa ufficiale presso Bruxelles.
Considerati i miliardi di euro investiti dai governi occidentali in sussidi diretti al fotovoltaico (oltre 6 miliardi l'anno solo in Italia), appare probabile che anche i vertici Ue prendano in serie considerazione il varo di provvedimenti analoghi a quelli Usa, così da evitare che un settore foraggiato dalle bollette dei cittadini europei finisca dominato da aziende estere. L'impatto di misure antidumping comunitarie sarebbe decisamente importante, considerato che il mercato fotovoltaico europeo vale dieci volte quello americano. L'industria del solare del Vecchio Continente potrebbe trarre giovamento da questi provvedimenti ma esiste anche un rovescio della medaglia: il calo dei prezzi imposto in questi anni dalla aggressiva concorrenza asiatica ha permesso a molti piccoli investitori di puntare sul fotovoltaico, che ora non è più lontano dalla cosiddetta grid parity, cioè la piena competitività con le fonti fossili (in assenza di incentivi). Eventuali misure protezionistiche potrebbero avere l'effetto indesiderato di rallentare questa positiva evoluzione.
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