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Questo articolo è stato pubblicato il 03 ottobre 2012 alle ore 16:36.
Tostapane, frullatori, hardware di pc, cellulari, tablet e tv. Una volta finiti nel cassonetto diventano Raee, ovvero "rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche". Che sono altamente inquinanti e devono ripettare corrette procedure di smaltimento.
Invece, secondo lo studio condotto da ReMedia – e presentato ieri a Roma nel corso del convegno "Raee: minaccia ecologica o miniera urbana?", organizzato dalla fondazione Symbola alla Camera dei Deputati – i Raee generati in Italia nel 2011 ammontano a circa 880mila tonnellate, pari a 14,6 kg/abitante, ma i "sistemi ufficiali", ovvero gli enti locali (che hanno l'obbligo di organizzare la raccolta) e le grandi catene di distribuzione (obbligo di ritiro gratuito se compri un elettrodomestico nuovo) ne hanno raccolti soltanto 4,3 pari al 37% dei flussi. Circa 5 kg/abitante vengono invece gestiti dal circuito degli operatori commerciali che si occupano della raccolta senza però averne i requisiti e senza garantire i report e la tracciabilità allo Stato (il cosiddetto "canale informale"), mentre altri 5 kg/abitante vanno a comporre l'inquietante mondo del materiale "disperso", cioè dei rifiuti non intercettati.
Insomma, su 15 ben 10 kg/abitante non seguono il flusso ufficiale, con danni incalcolabili per ambiente, economia e salute. Perchè non è certo che i Raee gestiti dagli operatori al di fuori del "sistema ufficiale" utilizzino impianti tecnologicamente adatti e seguano le corrette procedure. Inoltre, non dovendo sostenere i costi per la messa a norma delle strutture, gli operatori informali sono economicamente avvantaggiati da una concorrenza sleale.
C'è poi un altro problema, a monte, che riguarda la produzione immessa sul mercato. Non tutti i produttori di elettrodomestici sono iscritti al registro nazionale (mancano all'appello almeno 2000 aziende) e alcuni di quelli iscritti dichiarano meno di quello che immettono effettivamente sul mercato. I cosiddetti free riders fanno "scomparire" una quota stimata di 300mila tonnellate di Raee su un'immesso sul mercato pari a 1,2 milioni l'anno. Questo fa sì che i costi aggiuntivi stimati di smaltimento ripartiti sulle spalle dei produttori "onesti" siano di circa 15 milioni di euro l'anno.
Ma Bruxelles bussa alle nostre porte. Nel 2019 l'Italia dovrà raccogliere l'85% del Raee generato per rispettare gli obiettivi della nuova direttiva europea 2012/19/Ue che dovrà essere recepita entro il 14 febbraio 2014. Questo significherà un incremento sostanziale dei volumi di raccolta - stimati in 980 mila tonnellate di Raee - e un conseguente innalzamento dei costi di sistema che potrebbero raggiungere i 740 milioni di euro.
«È chiaro – ha spiegato Danilo Bonato, direttore generale di ReMedia – che serve un cambiamento a livello normativo che impedisca agli operatori non ufficiali di inghiottire una parte consistente di rifiuti tecnologici e occorre lavorare per ottimizzare i modelli di raccolta con l'aiuto di enti e della distribuzione, ma soprattuto capire quale sarà il modo più efficiente per finanziarla».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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