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Questo articolo è stato pubblicato il 17 luglio 2012 alle ore 08:10.

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«Uno sforzo di stampo keynesiano». L'uscita "olimpica" del ministro Tory, Jeremy Hunt, non è indizio di una svolta, ma la conseguenza di una maledizione. Come nel 1948 quando gli atleti riuniti a Londra furono invitati a portarsi la schiscetta, per far fronte ai Giochi poveri imposti dalla ricostruzione, così nel 2012 la crisi sembra aver costretto il governo conservatore a una mutazione ideologica. Lo stimolo keynesiano annunciato dal ministro amico di Rupert Murdoch - Jeremy Hunt è ammaccato dal sospetto di aver agevolato il tycoon nella tentata conquista della tv BskyB - è, in realtà, un incidente di percorso, involontaria, ultima conseguenza del credit crunch e non ponderata deviazione dall'austerity scelta da Downing street.

Il portafogli dei privati s'è chiuso e il conto è arrivato tutto al Tesoro. Un conto ormai atteso, per nulla sorprendente: 9,3 miliardi di sterline di denaro pubblico. Tanto era stato preventivato e tanto costeranno ai contribuenti le trentesime Olimpiadi che si apriranno il 27 luglio nell'East End di Londra. Anzi qualcosa in meno, se è vero che mezzo miliardo resterà a garanzia per varie emergenze, compresa quella sulla sicurezza, con coda di polemiche (e crollo in borsa della società G4S: -6,5%) ancora molto viva dopo l'allarme dei giorni scorsi.
Aver finito i lavori in tempo ed entro i costi preventivati nonostante il dissolversi dei privati al ritmo imposto dalla curva dei mercati finanziari, è un successo indiscutibile, ma lo spirito keynesiano, il premier David Cameron cercherà di imbrigliarlo subito trasformando i Giochi in una Expo.

Esposizione di britishness, per mostrare al mondo quello che il Paese sa fare o spera di poter fare. Mentre al Villaggio olimpico sono già arrivati i primi atleti, l'agenda degli appuntamenti è densa e conferma quanto la crisi abbia deragliato i Giochi dalla dimensione sportiva a quella di kermesse. Tutto comincerà il 26 con la Global investment conference che metterà a confronto, alla vigilia della cerimonia d'apertura, Mario Draghi, presidente della Bce, con Christine Lagarde numero uno del Fondo monetario e con Angel Gurria segretario generale dell'Ocse. Dal 27 e fino alla cerimonia di chiusura si terranno ogni giorno conferenze dedicate a settori specifici: moda, infrastrutture, media, finanza e via vendendo il know how dei sudditi del Regno.

La geometrica potenza britannica, o quello che di essa resta, proverà ad ammaliare il mondo nella convinzione che questi esercizi di comunicazione genereranno un miliardo di sterline di business. «Vent'anni dopo i Giochi di Sidney - dice Martin Uden, burattinaio degli eventi battezzati British business embassy - l'Australian club lanciato in quell'occasione continua a generare affari. Noi faremo lo stesso e di più se possibile. Anche questa sarà la legacy dei Giochi».
«Legacy» in italiano significa «eredità» ed è la parola più pronunciata in questi giorni. La scommessa è sempre la stessa, quella fallita da Atene e vinta da Barcellona, e consiste nel trasformare la più straordinaria manifestazione sportiva al mondo in un volano per rilanciare il Paese, o almeno una città, città-stato nel caso di Londra. In tempi di austerità l'esercizio è estremo.

Il colpo d'occhio dalla fermata della metropolitana di Stratford, profondo East End, dà ragione a Stefan Szymanski, docente di economia e specialista di sport alla Michigan university. «Il Parco Olimpico è una piccola isola in una regione sottosviluppata». Anche peggio, professore. Duecentocinquanta ettari di tecnologia d'avanguardia e design sofisticato, piovuti negli slums di Newham dove la disoccupazione giovanile è del 25%, ovvero il triplo della media nazionale, e dove metà dei bambini vive sulla linea di povertà.
Fra fast food a una luce con i vetri zavorrati da inquietanti tracce di grasso, occhieggiano corpi che troppo hanno indugiato alla tentazione dello zucchero. Fuggevoli umane presenze, cappuccio calato sugli occhi e passo veloce, interrompono la sequenza di casette delabrè in stile Lego che si scorgono dalle inferriate del Parco. Oltre occasionali rotoli di filo spinato svettano bandiere britanniche alle finestre per il tifo che verrà.

L'eredità olimpica riuscirà a conquistare le menti e i portafogli di chi vive una condizione ultima ? «Il 75% del budget resterà sul territorio» insistono all'Oda, la Olympic delivering authority che ha organizzato la costruzione del Parco. Per l'esattezza il 75% di 7 (dei 9,3) miliardi di sterline raccolti e stanziati dalla mano pubblica. Ovvero 5,3 miliardi caduti come una bomba su una distesa di terra ad alto tasso di inquinamento, grande come Hyde park e Kensington gardens, affossata fra decine di corsi d'acqua, ridotti a cloache degli scarti di industrie scomparse. Una città fantasma, ribaltata come un guanto da un esercito di 46 mila uomini che ha dissodato, ripulito e ricollocato 2 milioni di tonnellate di terra, ha scavato 6 chilometri di tunnel di servizio per distendere cavi e intercettare le linee idrauliche, ha eretto trenta ponti e dato lavoro a migliaia di contractors e subcontractors.

Sette anni, scarsi scarsi, dopo il giorno della vittoria su Madrid e Parigi, Londra ha consegnato su questo territorio, sei arene sportive permanenti, altre due provvisorie, 2818 appartamenti, alloggi per gli atleti che al 40% diventeranno residenze popolari e al 60% private. Quattromila alberi e trecentomila piante dovranno dare un colpo di colore a Orbyt, la scultura ripiegata, vaga eco della Tour Eiffel creata da Anish Kapoor a simbolo permanente dei Giochi, e all'Aquatic center firmato da Zaha Hadid.

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