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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 08:20.

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Il nuoto italiano crolla nel gorgo dell'Aquatic centre uscito dal genio di Zaha Hadid e si porta in fondo anche Federica Pellegrini. Finisce quinta nei "suoi" duecento stile libero, meglio, ma non abbastanza, delle ingloriose gesta di Filippo Magnini e Luca Dotto rapidi nell'indicare all'Italia della velocità la via d'uscita dalle piscine di Londra. Il sogno si spezza, sui miracoli si discute. «Io ci credo sempre, ogni volta che mi tuffo. A volte i miracoli si ripetono». Ci ha creduto e ci ha provato, ma le bracciate di Allison Schmitt avevano schiantato fin dalla prima vasca la speranza che Federica riuscisse, con un'unghiata finale, a ripetere se stessa.

Al nuoto italiano non restano che i fondisti e molte polemiche. La sconfitta apre scenari incerti, ma la manina di Federica Pellegrini che non arriva a grattare il blocco, non cambierà i destini economici prossimi venturi di una campionessa da tempo mutata in super-star. «Normalmente - ci spiega una fonte anonima vicina a Federica - il contratto di uno sponsor tecnico raddoppia nell'eventualità di un oro alle Olimpiadi. Nel caso di Federica siamo, però, oltre il fenomeno sportivo». Che tradotto vuole dire: non sarà quel mancato assegno a mutare il calcolo del jackpot finale. Dal 2010 si narra, con ampia approssimazione, di un gettito complessivo per la campionessa di 2 milioni di euro l'anno, garantito dagli sponsor Mizuno, Armani, Barilla, Enel, Nilox e Yamamay. Quest' ultimo (300mila euro) è già esteso, gli altri contratti scadono a fine 2012.

Resteranno gli stessi, ne arriveranno di nuovi, ma certamente cambieranno le fee se è vero che Federica Pellegrini punta ora a incassi complessivi di 4 milioni di euro l'anno. Il doppio di oggi e indipendentemente dalla performance di ieri. Perché? «Per il semplice motivo che il passaggio di Federica a Sanremo ha fatto schizzare lo share - continuano a informarci - o che per la finale dei 400 stile libero sul canale Rai s'è arrivati a un picco del 30% e ieri anche di più. Ha uno stage up (qualcosa di simile al pil della notorietà) che raggiunge l'89 per cento». Star appunto, al netto, ormai, della performance atletica.

Più complesso il calcolo opposto, ovvero comprendere quanto renda a un'impresa associare se stessa alla Fede nazionale. Non lo sa quantificare nessuno degli interpellati, tutti barricati dietro vaghe considerazioni del tipo "ovviamente molto". Moltissimo per gli sponsor tecnici ansiosi di vedere il loro logo accostato a un oro. Ci contavano in tanti. Soprattutto la Jaked che sponsorizza la nazionale italiana, ma che s'è vista escludere la cuffia destinata a tutti gli atleti azzurri perché mancava il certificato di omologazione. «Stiamo volando a Londra per chiarire la cosa con la federazione nazionale e quella internazionale - ha commentato Ugo Pongolino parlando a nome dell'azienda - ma il danno è evidente. Quantificare il valore delle medaglie per le imprese sponsor? Impossibile. Posso solo dirle che nel 2009 quando il nostro costume Jaked 01 ha fatto trenta titoli mondiali abbiamo aumentato il fatturato del 70 per cento». La storia, come i miracoli, a volte non si ripete.

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