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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2011 alle ore 06:41.
di Jacopo Giliberto
L'incentivo dato al settore fotovoltaico era generoso. Troppo generoso. Potrebbe arrivare (nella soluzione più pesante) fino a un cumulato di 41 miliardi di euro nel 2032, oppure (in uno scenario di sforbiciature pesanti) di 35,8 miliardi. E oggi ne subiamo le conseguenze. Non solamente in termini di peso sulla bolletta della corrente, ma soprattutto in chiave di obiettivi economici e ambientali da conseguire attraverso le fonti rinnovabili di energia. Conseguenza: il rischio di penalizzazioni per tutto il settore dell'elettricità ecologica, compresi segmenti economicamente più solidi come la produzione eolica oppure con biomasse, e al tempo stesso tariffe alte e nemiche della competitività. Lo afferma uno studio che l'Istituto Bruno Leoni, il vivace think-tank della destra liberista, ha realizzato in collaborazione con il consorzio confindustriale Gas intensive, il quale raccoglie i grandi consumatori industriali.
Carlo Stagnaro, che ha coordinato i ricercatori dell'istituto, spiega quali sono i punti salienti che gli fanno contestare la tipologia di incentivo. «Con una cifra così consistente, sono stati indotti investimenti frettolosi per costruire centrali fotovoltaiche sulla base della tecnologia di oggi. In questo modo non sono state aiutate ricerca e innovazione, bensì l'inseguimento del profitto veloce. Inoltre – osserva Stagnaro – un incentivo consistente impone sulle bollette dei consumatori un onere che limita la competitività senza raggiungere i due obiettivi, cioè quello ambientale, che può essere conseguito anche con strumenti diversi dal fotovoltaico, né quello di politica industriale. Infine, un sussidio generoso crea un rischio politico, una reazione contro l'incentivo che si traduce in un taglio troppo netto che suscita negli investitori il senso di instabilità delle regole e di scarsa credibilità». E a parere di Stagnaro questi tre effetti negativi sono stati raggiunti.
Secondo la ricerca, il peso degli incentivi alle fonti rinnovabili è pagato al 26,2% dalle famiglie (bassa tensione domestica), per il 28% dalle microimprese come negozi e uffici (bassa tensione non domestica), per il 2,2% dai lampioni stradali, per il 31,8% dalle piccole e medie imprese (media tensione) e per l'11,4% dalla grande industria (alta tensione).
Da ciò i timori espressi ieri da un'associazione di consumatori tra le più rappresentative, l'Adiconsum: i sussidi all'energia verde comportano «un impegno, nei prossimi 20 anni, di 120 miliardi di euro destinati a carico della bolletta elettrica degli italiani. Un costo pesantissimo che deve vedere una rimodulazione con verifiche puntuali sui reali investimenti in energia pulita».
Lo studio dell'istituto Bruno Leoni aggiunge che il primo conto energia ha dato un sussidio di 570 euro ogni mille chilowattora prodotti e il secondo periodo di incentivo (terminato l'anno scorso) era di 365 euro. Secondi i diversi scenari, gli analisti dell'istituto milanese vedono che comunque, anche se l'aiuto andasse a zero nel 2020, le bollette non scenderebbero in modo consistente perché restano in vigore i diritti acquisiti di anno in anno. «Il fallimento del conto energia – aggiunge Stagnaro – non è più riparabile. E non è riuscito né a generare una filiera industriale importante, né ha dato spinta al progresso tecnologico».
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