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Questo articolo è stato pubblicato il 08 maggio 2011 alle ore 14:23.

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BERGAMO - Doveva essere una grande operazione d'ascolto. E così è stato, coinvolgendo la platea con un televoto via sms. «Una riflessione tra di noi, per indicare le priorità di Confindustria: ciò che possiamo fare noi, per migliorarci, l'agenda da presentare alla politica, per modernizzare l'Italia e crescere di più». Emma Marcegaglia scende in sala stampa, a giornata conclusa. E con alcuni numeri in mano: le Assise di Bergamo hanno avuto una partecipazione record, 5.700 persone. Quella base produttiva di piccole, medie e grandi imprese che rendono l'Italia il secondo paese manifatturiero europeo.

È riferendosi a questa realtà che la presidente di Confindustria ha preso lo spunto per rispondere alla bacchettata di Silvio Berlusconi, che giovedì scorso aveva incalzato Confindustria non a chiedere ma a fare qualcosa per il governo: «Al presidente del Consiglio rispondiamo che siamo noi a tenere in piedi il paese, tutti i giorni facciamo qualcosa per l'Italia. Contribuiamo al 70% del Pil». Ma il momento è difficile, e quindi «vogliamo assumerci ulteriori responsabilità, essere attori del cambiamento, non rappresentando solo le imprese, ma con una visione più generale».

Un ruolo che in questa fase diventa necessario: il paese cresce poco, «la nostra agenda non è quella della politica». Dobbiamo fare di più, insiste la Marcegaglia, «non essendo antagonisti rispetto al governo». Ma premendo per le riforme e puntando, come imprese, a crescere di più e ad andare su nuovi mercati.

«Lanciando le Assise ho detto che l'imprenditore si sente solo. Sono anni che chiediamo le stesse riforme, privatizzazioni, liberalizzazioni, infrastrutture, ricerca, fisco. E non avvengono: questo spiega la rabbia di tanti imprenditori, il distacco dalla politica, il fatto che molti preferiscono dipingerci più vicini o più lontani dal governo, pro o contro». Mentre non è questa la chiave di lettura dell'azione di Confindustria: «Abbiamo sempre spinto per le grandi riforme, dovendo fare i conti con un paese dai poteri divisi e conflittuali». Ma, ha aggiunto, «non ci possiamo rassegnare al declino, dobbiamo fare, fare, fare». E «la solitudine, la nostra rabbia e il nostro orgoglio possono trasformarsi in una potente iniezione di energia al servizio del paese».

Al governo non si chiedono «sconti o aiuti», ma le riforme: quella del fisco, anche a parità di gettito se le finanze pubbliche non lo consentono, che riduca la pressione su imprese e lavoratori: «Da noi pesa il 20% in più che in Germania. Vogliamo dirlo che l'Irap deve sparire?». E poi il cuneo fiscale: fatto 100 il costo aziendale, il salario netto è solo di 40 e poco più per cento. Bisogna andare avanti con privatizzazioni e liberalizzazioni: «Il governo ha fatto passi indietro sulle tariffe minime».

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