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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2010 alle ore 18:29.
BUENOS AIRES - Seguire una partita della Selección argentina, o semplicemente gli allenamenti, in un bar della cittá é un'esperienza sociologica, prima che un servizio giornalistico. «Que lo hagan Santo, ya, a Diego», che lo facciano Santo subito, si legge nel cartello apposto sulla parete, sotto il televisore.
Quando la regia inquadra la panchina blanquicelestes, biancazzurra, con una zoomata sul volto di Diego che scruta le giocate di Messi&company, la signora Carmen, che ha l'aria d'essere ottuagenaria, emette la prima sentenza: «Mira que lindo, tiene casi 50 años y es divino», é bellissimo, ha quasi 50 anni ma é divino. Dal tavolino a fianco un signore con il braccio ingessato impreca contro la sanitá di Buenos Aires. «Ha ragione Diego, siamo allo sfascio».
Inutile dissertare sui suoi vizi, la tossicodipendenza, la megalomania, il rifiuto del figlio italiano. El Diez, il Dieci non si discute. Diego é sí un fenomeno mediatico, ma soprattutto un nuovo leader, pardon lider, terzomondista.
È piuttosto insolito che i calciatori si esprimano su questioni diverse dallo sport, ma non é mai accaduto che gli venga dato tanto credito. Maradona viene sentito su tutto, le sue esternazioni vengono non solo ascoltate, ma reinterpretate e quasi sempre condivise. Questioni sociali, politiche, storiche, sanitarie, persino economiche; tutte affrontate con l'impudenza dell'ignoranza convessa.
Interviene su tutto lo scibile umano: la povertá, la corruzione, i malgoverni, il default argentino, Cuba, Fidel Castro, Che Guevara, las Madres de Plaza de Mayo, i desaparecidos, la diplomazia argentina e i sistemi sanitari nel mondo. Sono pochi i temi che sfuggono all'orbita delle opinioni espresse dal Diego nazionale.
In una delle presentazioni del suo libro, "Yo soy el Diego", Maradona disse: «Magari potessimo, noi calciatori, risolvere i problemi della gente con le nostre azioni, i nostri gol. Quanto meglio staremmo...». Pare strano ma nell'inconscio degli argentini, secondo gli psicoanalisti di Buenos Aires, Diego occupa un posto rilevante: c'é una relazione ombelicale tra lui e la popolazione. È un idolo assurto alla gloria, poi crollato e infine risorto. È forte l'analogia con l'Argentina che da settima potenza mondiale, negli anni Venti, venne travolta dalla corruzione e dalle dittature degli anni successivi. Ora, con la forte domanda di materie prime agricole di cui l'Argentina é grande esportatore, si intravvede un nuovo boom, un'altra ripresa.