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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2010 alle ore 13:05.
Diego sì, Fabio no. Che non fosse un mondiale per italiani s'era capito subito, fin da quando l'Italia beccava gol dai paraguaiani cominciando a correre in salita con gli occhi fuori dalle orbite e l'Inghilterra si incartava sulla papera di un portieraccio, uno dei tanti, come se fosse possibile diventare campioni del mondo senza numeri 1 e 9 degni di quella coppa bellissima. Chi ha sufficiente età e memoria, può ricordare che il super Brasile con Valdir Perez in porta e Serginho al centro dell'attacco (gli unici due brocchi in una squadra di superstar) venne spedito a casa. Da noi, ovviamente. Sarà un caso…
Che sia un mondiale addirittura rivoluzionario, lo stiamo invece scoprendo poco a poco, magnificamente. Questa è la tomba dei santoni della panchina, che escono tra le pernacchie, schiantandosi contro alberelli sulle loro fuoriserie presunte: game over, forse addirittura alla loro scintillante carriera. Non solo Lippi e Capello, che discorsi, ma anche i vari Eriksson e Le Guen che hanno affondato le presuntuose corazzate del calcio africano e magari Otto Reaghel che non si è mai ripreso dalla sbronza del titolo europeo trovato per strada con la Grecia. Vanno avanti al momento un allenatore rottamato anni fa senza nemmeno gli incentivi (Tabarez), uno che conoscono solo i tifosi dell'Inter perché aveva tentato di convincere Balotelli ad andare a giocare nella nazionale ghanese (Milovan Rajevac), uno da molti considerato il fantoccio del ventriloquo Klinsmann e che pare sempre vestito da uno stilista della Stasi con quelle magliette dai colori improbabili sotto giacche altrettanto per non parlare dell'acconciatura (Joachim Löw).
E Diego Maradona, che i più gentili tra i critici ritenevano il grande male dell'Argentina e tutti gli altri un pagliaccio, triste caricatura di se stesso. Adesso rosicano senza pace, provando a rivangarne il passato di evasore fiscale e tossicodipendente. Noi ce ne infischiamo e facciamo un tifo feroce per lui, invece di perdere tempo ad avvelenarci con le tristezze italiane. Ce ne infischiamo pensando a tutti gli evasori fiscali che avete votato per rappresentarvi e che passano per brave persone, a qualunque schieramento appartengano. Ce ne infischiamo, fischiettando le canzoni di Jimi Hendrix, dei Rolling Stones, dei Beatles, di Bob Marley, di Jim Morrison e di tutti i geni della musica fragili, non sognandoci nemmeno di giudicare le debolezze e i dolori che li hanno portati al tentativo, a volte riuscito, di autodistruggersi. Perdonate e tollerate, se potete, chi preferisce Maradona a Capello, che era partito per vincere il mondiale, non un millimetro in meno, facendosi ripulire il contratto dalla clausola rescissoria e ora naturalmente si aggrappa al Grande Alibi, dopo averne beccati quattro dalla Germania. «Se l'arbitro non avesse sbagliato clamorosamente non saremmo usciti dal mondiale». È il dito, anche se il dito di un gigante, che indica la luna. Su quella sta scritto che l'Inghilterra ha fatto una figura non tanto migliore di quella dell'Italia. Sul piano dei risultati e del gioco.