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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2011 alle ore 14:27.

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Come si vede le conseguenze dell'11 settembre vanno ben al di là di una data. In sostanza l'Afghanistan e l'Iraq sono stati due fallimenti: si sono abbattuti dei regimi nemici, ostili all'Occidente, ma non si controlla la situazione. Non solo, gli Stati Uniti pur avendo migliaia di uomini sul terreno, 50mila in Iraq e 130mila in Afghanistan, non sembrano in grado di condizionare quanto avviene nel mondo arabo. Anzi proprio questo logorante impegno militare dal quale il presidente Obama vuole uscire ha incoraggiato i popoli arabi alla ribellione: non c'era più il timore, dopo due disastri, di un nuovo intervento americano.

Così in Tunisia ed Egitto, un decennio dopo le Due Torri, hanno abbattuto da soli i loro dittatori che per inciso rappresentavano degli alleati storici dell'Occidente. Il democratico Obama, che aveva fatto dei grandi discorsi sulla democrazia in Medio Oriente, ha balbettato per settimane su cosa si dovesse fare in Egitto per decidere poi la mossa più saggia: stare a guardare il crollo di Mubarak.
Il fallimento dell'11 settembre dal punto di vista geopolitico_ cioè l'incapacità americana di vincere la pace oltre alla guerra _ha avuto un benefico effetto sul mondo arabo: nessuno ha più paura dell'America. Per questo sia in Tunisia che in Egitto non ci sono stati slogan avversi nei confronti degli Stati Uniti o di Israele: la gente in piazza Tahrir sapeva che non contavano più nulla nel determinare il loro destino, l'11 settembre 2001 era davvero lontano.
Affacciato su quella piazza del Cairo diventata l'emblema delle rivolte arabe vedevo i marines sul tetto dell'ambasciata americana guardare con il binocolo quanto accadeva sotto: erano il simbolo dell'inutilità americana.

Questo tra l'altro non significa che i Paesi arabi in transizione e che si stanno liberando dei dittatori diventeranno alleati o amici senza condizioni degli americani e dell'Europa. Vogliono sganciarsi anche dai vecchi schemi con i quali i raìs si tenevano al potere: quel patto con il diavolo che aveva assicurato a degli autocrati senescenti un sorta di immortalità. I dittatori arabi facevano quello che diceva l'Occidente, cioè tenere a bada gli islamisti e controllare le risorse energetiche, e loro in cambio potevano massacrare ogni tipo di opposizione.
Certo dopo questi autocrati non sappiamo esattamente cosa troveremo. I nuovi leader possono riservare delle sorprese e anche qualche vecchia conoscenza.
L'attuale comandante militare della piazza di Tripoli, Abdul Hakim Belhadj, era l'emiro del Gruppo islamico combattente, organizzazione affiliata ad Al Qaeda che negli anni '90 condusse la guerriglia in Libia contro Gheddafi partendo delle montagne alle spalle di Derna in Cirenaica. Belhadj fu catturato dagli servizi britannici in Thailandia, consegnato agli uomini del Colonnello nel 2004 e rilasciato quattro anni più tardi: oggi, con l'aiuto indispensabile dei raid della Nato, Belhadj è il re di spade a Tripoli. Ex mujaheddin in Afghanistan, Belhaj incontrò Bin Laden un anno prima dell'11 settembre, anniversario sul quale l'ex jihadista glissa le domande.

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