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Questo articolo è stato pubblicato il 05 settembre 2011 alle ore 14:27.

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Mai dire mai: gli al qaedisti di ieri, sopravvissuti al loro ispiratore Bin Laden e magari adeguatamente aggiornati alle istanze popolari e "democratiche" delle rivolte arabe, potrebbero diventare i dirigenti di domani. In Libia come in Yemen, in Somalia o in Siria.
Il caso della Libia è forse quello più interessante da esaminare nello spettro delle conseguenze più o meno dirette dell'11 settembre. Nel mezzo di una crisi economica e finanziaria senza precedenti, dovuta anche alle guerre intraprese negli anni scorsi senza ottenere i dividendi strategici sperati, gli Stati Uniti hanno deciso di tagliare i costi, ritirarsi da alcune aree e di far pagare ai loro alleati le prossime guerre.
Hanno così appoggiato l'iniziativa francese per far crollare Gheddafi ma dopo un paio di settimane hanno tenuto a terra i cacciabombardieri, prolungando in questo modo il conflitto. La Francia ha quindi coperto circa il 30-40% delle spese dei raid aerei sulla Libia: nonostante le smentite del governo francese appare del tutto credibile che i ribelli di Bengasi abbiamo promesso a Parigi il 35% dei futuri contratti petroliferi.
Con la guerra di Libia, dal sapore vagamente coloniale, gli Usa si sono defilati e hanno chiamato i loro alleati a prendersi responsabilità politiche militari ed economiche nei cambi di regime in questa parte del Mediterraneo. Pure questa è una conseguenza dell'11 settembre sul mondo arabo e su di noi. Può essere anche positivo: la sponda Sud, anche se la Germania non è d'accordo, è parte integrante degli interessi strategici della Nato e dell'Unione europea.

La data che ricordiamo ha avuto grandi effetti sul mondo ma per un concatenamento di eventi e di situazioni che l'hanno preceduta e seguita, a volte non strettamente correlati con l'11 settembre. Ma se non scandagliamo a fondo questo contesto rischiamo che questo anniversario significhi soltanto che siamo diventati più vecchi, meno potenti e forse un poco più poveri di dieci anni fa. E non più saggi e consapevoli.
Non posso però evitare di ricordare cosa è stato davvero questo decennio per l'umanità che mi è passata davanti. Ho visto intere città come Baghdad distrutte, con la vita di milioni di persone sconvolta, centinaia di migliaia di vittime e di profughi, che sono ancora in cammino per tornare a casa o diretti in qualunque altro luogo lontano da guerre e carestie. Continuo a vedere morti in attentati e violenze quotidiane: per questa gente l'11 settembre è una data come le altre, un giorno uguale agli altri.

Per il mondo arabo forse è più significativo il 17 dicembre 2010 quando in oscuro villaggio della Tunisia interna, Sidi Bouziz, si diede fuoco Mohammed Bouazizi, giovane disoccupato 26 anni: la notizia allora comparve in poche righe di agenzia e non venne neppure riportata sui giornali occidentali.
Il livello di ascolto su quanto accadeva nelle strade del mondo arabo, a due passi da casa nostra, era bassissimo ma c'era un rumore di fondo sordo, rabbioso, che esprimeva il dolore e la frustrazione di intere generazioni presenti e passate. La tempesta che si è abbattuta non è soltanto un cambio di regime ma anche il parto difficile di Paesi che cercano faticosamente di diventare nazioni nuove e diverse da prima. Ma tra un decennio, nel 2020, ci ricorderemo ancora di Mohammed e del suo gesto?

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