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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2012 alle ore 12:08.

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Tutti in piedi. Nel giorno delle lacrime dello sport azzurro per la disgraziatissima scelta di Alex Schwazer, arriva la notizia che riempie il cuore di gioia di tutti gli appassionati delle storie a lieto fine. Josefa Idem, 47enne protagonista di una carriera straordinaria in sella a una canoa, ha vinto l'ennesima sfida con se stessa e con le leggi del tempo. È riuscita nell'impresa strepitosa di raggiungere la finale nella K1 500. In semifinale, lei davanti a tutte. Ancora una volta, come se nulla fosse cambiato da Los Angeles 1984, quando ancora gareggiava sotto la bandiera della Germania Ovest e nessuno poteva immaginare che sarebbe diventata una delle migliori atlete di sempre dello sport italiano.

Otto Olimpiadi, una in fila all'altra. Per portare avanti nel migliore dei modi una passione che è diventata la compagna di una vita. Determinazione, grinta, coraggio, la Idem è l'emblema dell'applicazione che diventa successo. Perché comunque vada, meglio non si poteva fare. Perché per raggiungere risultati importanti, è necessario non dimenticare mai le premesse che ci hanno sostenuto nei momenti difficili, in cui tutto sembrava non funzionare, in cui tutto veniva messo in discussione. Pure il desiderio di rinnovare il proprio impegno per guardare con fiducia al domani.

«Io ho colto lo sport come un'opportunità, sono sempre stata pronta a vincere ma anche a perdere. Solo così si dura nel tempo», ha detto ieri alla Gazzetta dello Sport. Un messaggio rivolto ai giovani che si presentano ai Giochi con la voglia di spaccare il mondo e poi cadono nel baratro della disperazione se il traguardo viene mancato. Lo sport in fondo è una metafora dell'esistenza. È dalle delusioni che nascono le soddisfazioni più grandi. Perché rialzarsi e tornare a correre non è cosa da tutti. Occorre credere fortemente in se stessi. E nelle persone che ci sono vicino.

La Idem non ha mai alzato la bandiera bianca. Si è sempre allenata con dedizione ed entusiasmo. Anche quando i problemi del quotidiano si facevano ingombranti e le occupavano la mente. Lei c'era. Era lì, con la sua canoa, a tagliare l'acqua con le sue bracciate ricche di talento e di classe. Josefa Idem, Sefi come ama farsi chiamare, è mamma di due ragazzi e moglie. La sua giornata è scandita dalle cadenze regolari di una donna che lavora e che deve badare alla famiglia. Prima di iniziare l'allenamento, accompagna a scuola il figlio più piccolo, Jonas. Nessuno sconto. La canoa è il primo amore, conosciuto a 11 anni e mai più abbandonato. Poi, è arrivato tutto il resto.

Come si diceva, il successo della canoista azzurra (che domani, ore 11, si gioca la sesta medaglia olimpica della sua carriera) si contrappone inevitabilmente al dramma di Schwazer, atleta che ha scelto una strada diversa, dannatamente sbagliata, per rimanere tra i grandi. «Quando me l'hanno detto ieri sono rimasta sotto choc per alcuni minuti, mi sono venute le lacrime – ha detto la Idem al termine della sua gara -. C'è grande tristezza, è un lutto per lo sport italiano. Ho un'immagine così bella di lui, è un ragazzo che si è tanto fatto voler bene, non so cosa lo abbia spinto, mi dispiace tantissimo che sia successo». Dalle stelle al fango in meno di 24 ore. Lo sport azzurro ha conosciuto a stretto giro di posta il meglio e il peggio della sua spedizione londinese.

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