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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2011 alle ore 10:07.
Un mercato di "carta", fatto di pura speculazione e zero slancio imprenditoriale, che rischia di frenare lo sviluppo delle energie rinnovabili. È la guerra delle domande virtuali per l'installazione degli impianti "verdi", che annovera tra le sue schiere soggetti interessati ad accaparrarsi, con un cip minimo (circa 2.500 euro), il ghiotto via libera a costruire parchi eolici e impianti fotovoltaici. Tutto finto, almeno in molti casi, perché nessun impianto verrà costruito visto che lo scopo di questi intermediari è incassare il permesso, tenerlo al caldo qualche anno facendone lievitare il prezzo, e poi rivenderlo agli imprenditori che davvero vogliono entrare nel business delle green energy. Risultato: una dispersione di costi e un infittirsi di passaggi inutili che portano le rinnovabili italiane a costare anche il 20-30% in più rispetto alla media europea.
Le imprese (vere) sono in allarme perché il prossimo 11 gennaio il Tar della Lombardia passerà al vaglio i ricorsi di un'ottantina di operatori che si sono mossi contro l'Autorità per l'energia, al vaglio di meccanismi efficaci anti-speculazione. Il più importante è l'obbligo di presentare una fideiussione di poco superiore a 20mila euro per chi fa domanda per l'installazione di impianti rinnovabili. Una cifra risibile se si pensa che una semplice pala eolica che genera un megawatt di elettricità ha un costo non lontano da 1,2 milioni di euro. L'altro ricorso, legato a doppia mandata al primo, è contro il nuovo Tica, il Testo integrato delle connessioni, che vuole sfoltire, anche in questo caso, l'intasamento delle domande fittizie di connessione permettendo alla società che gestisce la rete (Terna) di accettare o meno le produzioni da fonti rinnovabili (almeno di quelle finte, visto che l'energia verde ha comunque priorità di dispacciamento per legge).
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Sul piede di guerra contro questi ricorsi le associazioni degli industriali, che in diversi tavoli hanno cercato di ostacolare lo sviluppo di un mercato "secondario" delle autorizzazioni per gli impianti rinnovabili, che frenano il business vero, rendendo la vita difficile a imprese e imprenditori. Alberto Bianchi, segretario del tavolo della domanda dei consumatori industriali, che rappresenta le grandi associazioni e i consorzi delle piccole e medie imprese, è durissimo contro gli intermediari: «La decisione di mettere in campo delle misure per scoraggiare la presentazione di domande di "carta" era una posizione concordata tra noi, i produttori da fonti rinnovabili e i produttori da fonti tradizionali. Il fatto che alcuni soggetti abbiano fatto ricorso è contro lo sviluppo sano di un business strategico per il nostro paese».
Che il boom di richieste "farlocche" sia un fenomeno fuori controllo lo dicono i numeri. La domanda di picco di energia elettrica in Italia è arrivata a 56mila megawatt mentre le domande di installazione di impianti da fonti rinnovabili (prevalentemente eolico), sono per oltre 180mila megawatt, di cui 120mila sulla rete di trasmissione nazionale e oltre 60mila sulle reti di distribuzione.
Sul fronte opposto ci sono loro, i produttori, che rispediscono al mittente le accuse di speculazione, con ricorrenti come Internatonal Power Italia, Gruppo Tozzi, Infrastrutture Spa, Maestrale Green Energy e Foster Wheeler. Per loro risponde Marco Pigni, direttore dell'associazione produttori energie rinnovabili (Aper): «Siamo assolutamente a favore di meccanismi di verifica della serietà dei progetti e contro la proliferazione selvaggia delle richieste di autorizzazione – racconta Pigni – ma quello che contestiamo è l'eccessivo accanimento dell'impianto fideiussorio previsto anche per le iniziative non andate a buon fine per cause indipendenti dall'operatore». Il concetto è: l'iniziativa fallisce e l'operatore perde tutte le fideiussioni. «Abbiamo fatto ricorso contro questa componente della delibera – continua Pigni – ma anche contro una ulteriore barriera alla libera impresa legata alla produzione da fonti rinnovabili».
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