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Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 06:53.
Il solare a misura dell'Italia nasce in queste settimane ad Hawaii. Dove la Sopogy Usa, specializzata in piccoli specchi parabolici, sta installando un campo solare da 5,5 megaWatt per dare elettricità (là piuttosto costosa) all'isola. Usando come "motori" due turbine della Turboden di Brescia, capaci di lavorare con efficienza anche alle medie temperature dell'olio riscaldato nel campo di specchi.
Il primo esempio, in pratica, di un solare termodinamico innovativo. Capace di produzione elettrica (e termica) continua, ma su spazi relativamente piccoli, flessibile, modulare, espandibile e soprattutto a costi bassi e in futuro decrescenti. Forse con una traiettoria verso la "grid parity" (la parità di mercato dell'energia prodotta) pari al fotovoltaico.
«Il termodinamico, a grandi campi di specchi parabolici o torri che concentrano il calore solare a 400 o persino a mille gradi finora è stato sinonimo di grandi impianti – spiega Diego Maria Albrigo di Turboden – ovvero taglie da 50-100 megaWatt, alte temperature dei fluidi termovettori (olii speciali o sali fusi), grandi campi da almeno 200 ettari in zone desertiche». Le aziende spagnole e americane i loro conti, a proposito, se li sono fatti bene. Questo solare termodinamico, fino alle grandi turbine a vapore surriscaldato, funziona con efficienza, soltanto su queste scale «ma in Italia, e non solo, sarebbe impossibile trovare estensioni di tale ampiezza. Di qui un approccio diverso».
È quello che aziende come la Turboden di Brescia, la Fera di Milano e la Xeliox del gruppo Donati stanno sviluppando. «Il primo punto sta nel "motore". La turbina tradizionale non è efficiente a 2-300 gradi, media temperatura. Le nostre invece, che lavorano con fluidi siliconici basso-bollenti, danno in quella fascia un buon 25% di efficienza. Questo significa che l'intero campo solare non deve lavorare a oltre 400 gradi, con grandi specchi alti cinque metri e tubi di concentrazione in vetro sottovuoto e materiali speciali, ma a 2-300 gradi: in questo modo si possono usare specchi più piccoli, olii minerali normali più economici e rendere ibrido e modulare l'impianto».
Per esempio un grande cementificio italiano in Marocco già usa le turbine bresciane per il recupero di energia dai fumi dell'impianto (al 70%). E sta valutando un altro 30% di energia che potrebbe venire dagli specchi solari. «Le fonti di calore a media temperatura si possono combinare tra loro – spiega Paolo Bertuzzi, direttore commerciale di Turboden –. Oggi abbiamo alcuni progetti in aree agricole che associano caldaie a biomassa con il solare. Insieme a un semplice serbatoio di accumulo dell'olio caldo. In questo modo si possono realizzare impianti da un megaWatt su 3-4 ettari. Capaci di energia continua, a chilometro zero e su estensioni ragionevoli».
Il costo di investimento di un impianto di questo tipo si aggira intorno ai tre euro per watt e con la tariffa incentivata in vigore (28 centesimi al chilowattora) la stima della Turboden è che l'impianto si ripaghi in otto anni. E infine questi tre euro per watt sono solo l'inizio. I costi scenderanno, per esempio con lo sviluppo di tecnologie più semplici come gli specchi piani di Fresnel che la Fera sta sviluppando in Sicilia. E a due euro per watt il termodinamico ibrido e flessibile «Made in Italy» potrebbe davvero decollare su vasta scala.
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