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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2011 alle ore 14:53.

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Immaginate un tenda sulle vostre finestre. Immaginatela di raso, seta, cotone, lino e del colore che preferite. E poi immaginate che quella tenda, tagliata su alcune delle vostre finestre esposte al sole, stia alimentando l'intero fabbisogno energetico della vostra casa. I passaggi consequenziali così descritti non sono casuali.

Le nuove frontiere dell'energia prevedono davvero la possibilità di una tenda “energetica” tessuta con minuscole celle in grado di trasformare l'energia solare in energia elettrica. Al Mit (Massachusetts Institute of Technology) questo passaggio dal fotovoltaico fatto di lastre al silicio montate su pesanti e ingombranti strutture di acciaio alle nuove generazioni di materiali – polimeri o composti metallici ossidati – in termini industriali è ormai dietro l'angolo, si parla di tre/cinque anni.

Qui al Mit, dove è in corso un progetto di ricerca in partnership con l'Eni del valore di 50 milioni di dollari in cinque anni, si è già al lavoro per la messa a punto di un prototipo definitivo. Si tratta di risolvere ancora alcuni problemi di efficienza e di generazione sufficientemente potente, poi si passerà al grande pubblico. Intanto si sperimenta senza sosta.
Siamo venuti a visitare uno dei laboratori del Mit, uno dei principali centri universitari scientifici americani.

Attraverso grandi finestre che si aprono da anticamere o dai corridoi si intravedono laboratori, off limits per il rischio di radiazioni, pieni di macchine avveniristiche, di scienziati in camice bianco che si aggirano con passo felpato per i corridoi, di progetti ancora, sottolineano tutti, allo stadio sperimentale. Su un foglio di carta è stata montata una cella luminescente piccola e flessibile. Lo scienziato piega il foglio in un aereo di carta e lo fa volare. Mentre è in aria appoggiata sul foglio di carta continua a raccogliere energia e a trasformarla.

Il passaggio dalla fase sperimentale a quella produttiva non è automatico né semplice. I nuovi materiali oggi rendono meno e durano meno degli equivalenti al silicio, ma costeranno anche molto meno. «Abbiamo deciso di puntare sul futuro, sulle nuove tecnologie, perché rispondono alle nostre esigenze. E perché avevamo già avviato progetti di ricerca avanzati al nostro istituto Donegani. Oggi gli scienziati chimici di Novara dialogano con quelli di Cambridge» ci dice Umberto Vergine, il capo della ricerca all'Eni.

L'accordo con l'Mit è un canale per sviluppare le nuove ricerche in un contesto avanzato. Un altro progetto riguarda l'uso dell'idrogeno, che nella valutazione dell'amministrazione Obama è meno efficente di altre fonti rinnovabili, ma al Mit stanno già ricorrendo a tecniche bio-mimetiche: si diffondono dei virus che costruiscono gli strati attivi e organizzano la materia in modo controllato per poi procedere con la trasformazione dell'energia solare in idrogeno che a sua volta viene trasformato in energia elettrica. La separazione dell'idrogeno avviene in contenitori d'acqua con la formazione di bollicine: vengono catturate di nuovo da apposite macchine, che poi traducono la risorse in energia elettrica.

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