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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2010 alle ore 09:41.
SHANGHAI - Il simbolo della rivoluzione solare cinese si trova a Wuxi, una città di cinque milioni di abitanti a un paio d'ore di auto da Shanghai. Il quartier generale di Suntech è coperto di pannelli fotovoltaici. Sono 2.600, ognuno lungo due metri. Il più grande impianto al mondo costruito sulla facciata di un edificio. Al suo interno migliaia di persone lavorano alla produzione dei moduli fotovoltaici che finiscono sui tetti e nelle centrali di tutto il mondo facendo dell'azienda il leader mondiale del settore. Mentre nei laboratori si sperimentano le celle di nuova generazione che promettono un salto di qualità nell'efficienza dell'energia solare.
I pannelli sono sui vetri delle finestre, sui tetti, esposti sulle pareti. Vicino alle fotografie di Zhengrong Shi, il fondatore dell'azienda. Shi è nato qui vicino. Dopo una laurea in ottica e un master in fisica dei laser, Shi, negli anni Ottanta, decise però di continuare gli studi all'estero. Pensava agli Stati Uniti, ma finì in Australia, dove ha conosciuto Martin Green, direttore del Photovoltaic Center of Exellence della University of New South Wales, a Sidney. Oggi Green è considerato il pioniere del fotovoltaico. Ha messo le mani sul primo pannello negli anni Sessanta e da quel giorno non ha smesso di fare ricerca, registrando diversi record di efficienza delle celle in laboratorio. (Si legga l'intervista a Martin Green).
Shi è stato suo allievo, portando a termine un Phd e iniziando a lavorare alla Pacific Solar, una start up nata in quelle aule che cercava di commercializzare i primi moduli con tecnologia a film sottile. «Non mi piace stare fermo, cerco sempre nuove opportunità», dice Shi, che oggi è uno degli uomini più ricchi della Cina ed è stato celebrato dalle copertine di Fortune, Forbes e Time come il Re Sole del ventunesimo secolo, uno dei simboli della rivoluzione green. «Il lavoro alla Pacific mi ha portato in giro per il mondo. Sono entrato in contatto con diverse realtà tra cui l'italiana Eurosolare, dell'Eni».
Il fondatore di Suntech parla senza soste, con l'entusiasmo dello scienziato e la concretezza del manager. Racconta di quando nel 2000 decise di tornare in Cina con l'idea di fondare un'azienda che producesse moduli tradizionali a silicio mono e policristallino ma a basso costo. «Non era facile, il paese era molto diverso da oggi». Il venture capital non era sviluppato. Dopo diverse ricerche Shi trovò una risposta nel governo locale di Wuxi, che gli garantì 6 milioni di dollari. «Nei primi sei mesi riuscimmo a produrre 10 megawatt. Tra il 2002 e il 2003 girammo molto per farci conoscere. Ricordo una fiera del solare a Berlino dove eravamo l'unica azienda asiatica. Ci guardavano con curiosità e stupore. Poi capirono che i nostri prodotti erano affidabili. Nel 2003 finimmo in anticipo la produzione e decidemmo di crescere ulteriormente. Nel 2004 la Germania aumentò gli incentivi e fu una grande opportunità. Le cose stavano cambiando. Per arrivare prima sul mercato iniziammo a spedire i moduli in aereo, evitando di perdere settimane con il trasporto marittimo».
Suntech riuscì a partire con costi bassi grazie a un forte uso della manodopera e l'acquisto di macchinari di seconda mano da Stati Uniti ed Europa. Fece accordi convenienti con i fornitori di silicio. Il costo di produzione era circa la metà di quello tradizionale. Ha cavalcato il boom del settore dall'inizio conservando questo vantaggio competitivo. Nel 2002 la produzione era di 10 MW, mentre il 2010 si chiuderà con 1.8 gigawatt. Suntech nel frattempo si è quotata alla Borsa di New York e nel 2009 ha registrato ricavi per 1,7 miliardi di dollari. «Se un giorno l'energia del Sole avrà un peso considerevole dovremo ringraziare la Germania. È stata la prima a credere negli incentivi. Poi sono arrivati Italia (che oggi è il secondo mercato mondiale per l'azienda, ndr), Spagna, Francia e Stati Uniti».
Nel frattempo la capacità produttiva della Cina è passata dai due MW del 2002 agli oltre 4mila di oggi, superando Germania, Giappone e Stati Uniti. Secondo i dati di Solarbuzz nel secondo trimestre del 2010 quattro tra i cinque maggiori produttori sono cinesi: First solar (americana), Suntech, JA Solar, Yingli Green Energy e Trina Solar. Non senza polemiche: poche settimane fa una lunga inchiesta del New York Times denunciava gli aiuti che Pechino garantirebbe alle aziende che sfornano pannelli solari nella città di Changsha violando le regole della Wto (senza contare gli interventi sul mercato valutario).
I pannelli cinesi finiscono soprattutto in Europa e Stati Uniti, mentre il mercato interno, pur crescendo, non è tra i grandi. «Il governo sta studiando il giusto regime di incentivi – spiega Shi -. Ci vuole una soluzione che tenga conto delle differenze regionali, sia affidabile e garantisca un giusto ritorno dell'investimento. Credo che nei prossimi tre anni assisteremo a una forte crescita e la Cina diventerà un mercato importante».
Certamente «i sussidi non potranno durare per sempre». L'obiettivo dell'industria è il raggiungimento della grid parity, momento di parità tra il costo della corrente elettrica prodotta con i pannelli solari e la bolletta tradizionale. Shi è ottimista e crede che a breve verrà raggiunta in Italia e altri paesi con buona insolazione (il nostro paese è "avvantaggiato" anche dagli alti costi dell'energia elettrica). «Oggi l'energia del Sole soddisfa il 2% della domanda di corrente elettrica in Germania e meno dell'1% nel mondo, siamo ancora in fase embrionale. Ci sono grossi margini di crescita».
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