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Questo articolo è stato pubblicato il 18 febbraio 2012 alle ore 14:43.

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Il fotovoltaico che viene dallo spazio. Nella foto l'impianto fotovoltaico a concentrazione della ABBIl fotovoltaico che viene dallo spazio. Nella foto l'impianto fotovoltaico a concentrazione della ABB

La corsa al futuro del fotovoltaico è già cominciata da tempo e le soluzioni possibili per aumentare l'efficienza dei pannelli si moltiplicano. Si punta al miglioramento delle celle di silicio per moltiplicarne il rendimento o a trovare nuovi materiali, soprattutto polimeri, magari organici, in grado di acchiappare i fotoni sempre meglio. Un'altra strada è riuscire a raccogliere meglio i raggi del sole prima che vadano a colpire il materiale capace di liberare elettroni e produrre energia. Questo sistema ha preso il nome di "fotovoltaico a concentrazione" e funziona soprattutto grazie a sistemi ottici, a lenti che modificano la traiettoria della luce per portarla sulla cella di silicio. Secondo la ABB, colosso mondiale nei sistemi per la produzione e utilizzazione dell'energia, è probabilmente la tecnologia fotovoltaica con le maggiori possibilità di sviluppo e per questo ha stretto un accordo commerciale in esclusiva con la società americana GreenVolts, di cui ha acquistato anche una partecipazione, per lo sfruttamento del suo sistema di fotovoltaico a concentrazione. ABB continua a spingere sull'innovazione, anche nel momento difficile dell'economia a tutti i livelli, forte dei risultati economici che ha presentato proprio insieme a una serie di novità tecnologiche in tutti i campi in cui opera. Anche in Iatlia per la multinazionale il 2011 si è chiuso in positivo, con un aumento dei ricavi del 5% a 2.587 milioni di euro, senza intaccare la redditività: un anno di "crescita discreta seppure in un contesto economico assai sfidante", come lo ha definito il Country manager e amministratore delegato di ABB SpA Barbara Frei.

Il fotovoltaico a concentrazione di ABB punta su celle ancora fatte di silicio, ma del tipo chiamato "a tripla giunzione", simili a quelle che montano i satelliti e le sonde spaziali e che quindi godono di un'alta affidabilità anche in condizioni estreme. Tripla giunzione significa che ogni cella ha al proprio interno tre diodi composti di strati di silicio trattati in modo diverso in modo da riuscire a sfruttare frequenze diverse della luce solare. All'esterno della cella, invece, a raccogliere e concentrare i raggi ci pensano delle lenti di Fresnel, che sono lenti capaci di lavorare in poco spazio e che aumentano la concentrazione dell'irraggiamento di 1.300 volte. In questo modo il rendimento balza dal 15-20% garantito dal fotovoltaico tradizionale a oltre il 35%, con la prospettiva di arrivare presto anche al 50%. Significa che ben la metà del potenziale energetico dei raggi sarebbe davvero sfruttato.

Per tutto questo c'è però un prezzo da pagare: le celle devono essere tenute perpendicolari alla direzione della luce e quindi ogni pannello ha bisogno di un telaio mobile dotato di motori capace di modificare la posizione in ogni momento. In più la luce deve essere diretta: se il cielo è coperto dalle nuvole il sistema non funziona più (mentre il fotovoltaico tradizionale continua a produrre energia anche quando il sole non si vede). Insomma non tutte le zone del pianeta sono adatte per ospitare impianti di questo tipo, che sono anche più costosi almeno per il momento (però i conti vanno fatti con gli incentivi del conto energia), ma le regioni del Sud dell'Italia, Sicilia e Puglia in testa, sembrano certamente valide candidate.

Ma c'è anche un altro tipo di impianti solari "a concentrazione" per i quali si stanno sperimentando nuove soluzioni che gli stanno facendo pure cambiare faccia: sono quelli termodinamici. Il solare termodinamico funziona concentrando i raggi del sole per scaldare un liquido che poi cederà il proprio calore per mettere in azione una turbina per produrre energia elettrica. Dal primo progetto di Carlo Rubbia, sviluppato con l'Enea, l'idea era di scaldare sali, oppure olio, raccolti in grosse cisterne al centro dell'impianto, in modo da ottenere temperature molto alte in una sostanza capace di mantenere il calore per molto tempo. La nuova strada, o almeno quella scelta da Abb grazie all'accordo con al tedesca Novatec Solar, abbandona le grandi cisterne poste in cima ad alte torri in mezzo a una foresta di specchi e sposa l'idea di scaldare direttamente acqua e di farla circolare in tubi molto più vicini agli specchi che raccolgono e concentrano il calore del sole. L'acqua è molto più facile da maneggiare (i sali creano problemi di corrosione, per esempio), il vapore che si genera può andare ad alimentare direttamente la turbina, senza bisogno di uno scambiatore di calore con i sali, oppure può finire anche ad usi industriali. I tubi viaggiano ad una decina di metri sopra gli specchi solari, che di nuovo hanno lenti di Fresnel per aumentare la concentrazione dei raggi, e sono dotati di un secondo concentratore. Il risultato è che il vapore arriva a 500 °C, pronto per essere sfruttato dalla turbina per la generazione elettrica. Un sofisticato sistema di controllo è in grado anche in questo caso di ottimizzare la posizione dell'impianto rispetto ai raggi del sole, di vigilare sulla caldaia e sulla produzione di energia e persino di occuparsi della pulizia degli specchi recuperando l'acqua utilizzata. I sali fusi possono rientrare in gioco, ma solo come accumulatori, per mantenere il calore da utilizzare, per esempio, durante la notte. «Certo, è un sistema ideale soprattutto per i grandi impianti, con potenze tra 50 e 250 MW e i maggiori vantaggi si ottengono nelle zone desertiche», racconta Paolo Zizzo, della Divisione Power Systems di ABB.

paolo.magliocco@videoscienza.it

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