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Questo articolo è stato pubblicato il 12 gennaio 2013 alle ore 09:04.
L'ultima modifica è del 12 gennaio 2013 alle ore 09:16.

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Stupisce non poco che le forze politiche, quelle che hanno dato vita alla «strana maggioranza» a sostegno del governo tecnico di Monti, non stiano trovando il tempo e la voglia di valorizzare fino in fondo il dato di cui dovrebbero essere orgogliose in campagna elettorale.

Uno spread di 250 punti, tassi d'interesse sempre più giù, aste dei titoli che vanno benissimo, la sensazione che l'emergenza del debito sia, se non certo vinta, almeno sotto controllo: uno scenario di questo genere un anno fa sembrava un sogno irrealizzabile. Ora invece è la cornice nella quale il paese si sta preparando alle elezioni. Dal possibile default a una condizione in cui si può guardare al futuro con un filo di ottimismo.

Potremmo definirlo come il dividendo della buona politica: un dividendo il cui merito va equamente distribuito fra tutti coloro che hanno contribuito a creare il clima positivo nel quale ha operato l'esecutivo dal novembre del 2011 al momento in cui si è dimesso. Quindi è vagamente paradossale l'atmosfera avvelenata in cui è cominciata la corsa elettorale. Giuste le distinzioni e la voglia di affermare le rispettive identità politiche. Ma perchè ignorare di fatto un risultato positivo da ascrivere, in modo equilibrato, al serio lavoro di Mario Monti e dei suoi ministri, da un lato, e al sostegno parlamentare che la non-maggioranza Pd-Pdl-centristi ha garantito all'esecutivo sia pure fra molti tormenti?

Di solito la risposta a questo interrogativo è che occorre guardare avanti e non al passato; e che c'è tanto da fare per restituire una speranza agli italiani senza lavoro, al mondo dell'economia schiacciato dalla recessione e soffocato dal carico fiscale. E questa è senza dubbio la priorità della prossima legislatura, la bandiera che la nuova maggioranza politica, quale che sia il suo colore, dovrà affrettarsi a far sventolare. Ma tale aspetto pur centrale nulla toglie al dividendo che oggi si riscuote.

Nel corso dell'ultimo anno il paese è stato rimesso sulle gambe dopo aver rischiato il fallimento. Sono stati conseguiti obiettivi importanti, grazie a una serie di circostanze favorevoli. Ha contato il quadro internazionale, non meno delle scelte faticose compiute dall'Europa. Hanno contato moltissimo, come è noto, le decisioni di Mario Draghi alla testa della Banca Centrale europea.

Eppure è innegabile che nulla sarebbe stato possibile senza il clima incoraggiante, meno lacerato e isterico, in cui siamo vissuti per alcuni mesi decisivi. Sarebbe troppo parlare di concordia nazionale, ma certo si è affermato un discreto e quasi imprevedibile grado di coesione collettiva. Merito del presidente della Repubblica che nell'autunno del 2011 ha avuto l'audacia di immaginare una soluzione innovativa e ha spinto i partiti a sacrificare il proprio interesse immediato a favore dell'interesse generale. Merito, come si è detto, di chi ha lavorato, specie dei primi tempi, sull'orlo dell'abisso. Ma le forze politiche che hanno rivelato senso di responsabilità e si sono fatte carico di scelte non semplici dovrebbero avere oggi più coraggio nel mostrare le loro medaglie. Tanto più preziose in quanto conseguite nel momento in cui la politica appariva così screditata.

Se dopo febbraio sarà possibile prendere decisioni concrete per restituire slancio al paese, lo si dovrà anche agli ottimi risultati ottenuti in mesi terribili, quando sono consolidate le mura dell'edificio Italia. Non si tratta di ricavarne l'assunto che solo una larga maggioranza o una grande coalizione può affrontare i problemi. Non è questo il punto. Ma ricordiamo almeno la lezione di Napolitano, che è anche il lascito della sua presidenza: la coesione nazionale è il bene insostituibile, la chiave che può aprire molte porte.

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