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Questo articolo è stato pubblicato il 16 gennaio 2013 alle ore 07:10.

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La campagna elettorale del Pd ha bisogno di una messa a punto. Il tempo c'è, ma Bersani non potrà dormire a lungo sugli allori. L'errore più grosso sarebbe infatti quello di dare per scontata la vittoria nelle urne e, dopo il 25 febbraio, l'intesa di governo con Monti (qualora fosse necessaria per carenza di numeri a Palazzo Madama). La messa a punto dovrà riguardare sia i toni della campagna sia l'asse strategico da proporre agli elettori.

Sul primo punto, è abbastanza evidente che il messaggio bersaniano è fondato sulla serietà e sulla pacatezza persuasiva. «Il passo lento dell'alpino» è l'immagine che il segretario del Pd aveva usato per definire se stesso il giorno dell'elezione. Gli alpini camminano piano perché s'inerpicano lungo le salite, ma un passo dopo l'altro arrivano in vetta. E in effetti oggi Bersani è vicino alla cima della montagna. Tuttavia i suoi interventi pubblici, più che sobri, corrono il rischio di apparire generici ed evasivi man mano che la competizione elettorale entra nel vivo e un personaggio irriducibile come Berlusconi accende i fuochi artificiali.

Non è un caso se raramente Bersani fa notizia e conquista i titoli dei giornali: a differenza, come è noto, del suo storico avversario del centrodestra. Dal quale viene ogni giorno una trovata o un espediente per occupare le prime pagine. Come è accaduto ieri con la storia della candidatura di Draghi al Quirinale: un'ipotesi del tutto irrealistica lanciata come un bengala al solo scopo di attirare su di sé l'attenzione mediatica (e magari fare un dispetto a Monti).

Viceversa Bersani procede con i suoi ritmi. Negli ultimi giorni è stato sferzante solo una volta, quando ha parlato delle misure economiche prese da Monti e del rischio che «un po' di polvere sia stata nascosta sotto il tappeto». Frase inquietante se si pensa alle decisioni sui conti pubblici che dovranno essere prese dopo il voto. Ma in definitiva è anche un monito al premier. Come dire: sospendi le polemiche contro noi del Pd, concentrati su Berlusconi e dopo le elezioni potremo negoziare.
Sta di fatto però che Bersani dovrà rinvigorire la sua campagna con proposte più concrete, delineando un orizzonte più largo circa le cose da fare.

Secondo punto, il tema del «voto utile». Nel 2008 Veltroni riuscì a mettere fuori gioco la lista Arcobaleno di Bertinotti proprio appellandosi all'esigenza di non disperdere il voto a sinistra. Adesso il vertice del Pd, preoccupato che al Senato manchi la maggioranza, si trova nella stessa situazione con la lista Ingroia. Sembra tramontata, a quanto pare, l'ipotesi più scabrosa: una forma di «desistenza», cioè di rinuncia dei candidati di "Rivoluzione Civile" in alcune regioni-chiave a favore del Pd. Se così fosse si creerebbe un intreccio poco trasparente fra i bersaniani e gli "ingroiani", con il risultato di provocare di fatto l'ingresso nella maggioranza dell'ex pm.

E un Ingroia decisivo al Senato cambierebbe del tutto il senso dell'operazione politica tentata da Bersani, perché sposterebbe il Pd a sinistra: verso quella sponda "giustizialista" che proprio il segretario considera perniciosa.
Viceversa il voto utile è un appello classico che non costa in termini politici e che può persino dare il risultato di tenere Ingroia fuori dal Parlamento o ininfluente. Ma per questo occorre che Bersani accenda il motore di una campagna troppo blanda.

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