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Questo articolo è stato pubblicato il 03 febbraio 2013 alle ore 16:25.

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Mario MontiMario Monti

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Sicuramente l'adeguamento dei fondi al ministero dei Beni Culturali e alla ricerca – compatibilmente con i vincoli delle finanze pubbliche – è tra le priorità che un futuro Governo deve porsi per tornare a un livello più prossimo a quello degli altri Paesi europei. Lo stato del patrimonio storico, monumentale, archeologico e paesaggistico è tale da rendere improbabile un rilancio significativo dello sviluppo turistico se prima non si interviene riprendendo quell'opera di manutenzione e conservazione che, a causa della carenza di risorse – ma anche a causa di inefficienze e disorganizzazione – è stata da anni trascurata.
Se le finanze pubbliche non permetteranno un immediato aumento degli stanziamenti, sarà comunque necessario riqualificare la spesa corrente e aumentare la spesa per investimenti, sia pubblici che privati e adottare in tempi brevi misure che possano portare risorse alla cultura, sia nella sua componente di attività culturali, sia nel mantenimento del patrimonio nazionale. In particolare, la fiscalità e l'inclusione del terzo settore possono avere significativi effetti positivi. Sarebbe utile agli stessi fini una riforma del ministero dei Beni culturali che ne favorisca l'efficienza organizzativa e l'autonomia di spesa.
Avviare un grande progetto di recupero del patrimonio culturale e paesaggistico significherebbe soprattutto dare un impulso alla crescita e una possibilità concreta di occupazione qualificata, in particolare per i giovani.

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Paragonandoci alla Francia, e ancora di più all'Inghilterra, è evidente che abbiamo molto terreno da recuperare per quanto riguarda la deducibilità e la detraibilità dei contributi a favore delle attività culturali e del mantenimento del patrimonio culturale. Una riflessione potrebbe anche essere condotta, in coerenza con le disposizioni europee, riguardo alle imposte che i soggetti – incluso il Ministero e il terzo settore – che operano per la conservazione del patrimonio monumentale, storico, archeologico e artistico devono pagare. La differenza sta anche nella "visione": per i Paesi sopracitati il Patrimonio nazionale è un bene collettivo, di conseguenza è tra le priorità dell'azione pubblica tutelarlo. La cultura è un diritto e tale deve essere per tutti i cittadini: in Italia l'articolo 9 della Costituzione è stato sostanzialmente dimenticato. Noi vogliamo ricordarcene nel nostro programma, con una visione di medio e lungo termine, diversa da quanto fatto – o meglio non fatto – nell'ultimo decennio.

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L'aumento delle ore sia di storia dell'arte che di pratica artistica e musicale è il presupposto per creare un Paese sensibile ai temi culturali. Sottovalutare l'importanza della cultura significa rischiare di perdere anche parte della nostra memoria, l'orgoglio della nostra identità e la capacità di pensare criticamente. Il danno sarebbe molto grave e si rifletterebbe su intere generazioni. L'identità del nostro Paese, quello per cui siamo conosciuti nel mondo, è anche e forse soprattutto la cultura: non riconoscerlo significa negare quello che siamo.

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L'obiettivo della politica europea di investire il 3% del Pil in ricerca e sviluppo e il programma dei finanziamenti europei alla ricerca per il periodo 2014-2020 è una straordinaria opportunità per il Paese, che deve attivarsi per poterla cogliere. A differenza di quanto è avvenuto, per esempio, per i fondi europei destinati al mantenimento e alla valorizzazione del patrimonio culturale, che spesso non si è saputo spendere. Qualunque accesso ai fondi europei sarà comunque vincolato alla capacità di trovare cofinanziamenti e di proporci come partner credibili. Dobbiamo innestare una vera rivoluzione, che modifichi radicalmente l'impostazione su ricerca e cultura: competitività, innovazione, sostenibilità e solidarietà devono potersi coniugare fra di loro per dare forma e consistenza a un futuro nel quale la qualità della vita dei cittadini venga messa veramente al centro dell'azione della politica.

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Cultura e ricerca sono due concetti profondamente collegati e fondamentali per il futuro del Paese, ed entrambi contribuiscono all'innovazione. La ricerca italiana deve essere sostenuta anche partendo da bandi competitivi. Bisogna premiare il merito affinché i bravi ricercatori (che sono molti) siano incentivati a dare il meglio. Solo partendo da questa impostazione, che non è affatto scontata in Italia, si può dare ai più capaci la possibilità di accedere ai grant internazionali più prestigiosi, contribuendo quindi all'innovazione del nostro Paese e portando enormi benefici al sistema generale. È inoltre necessario e urgente semplificare la burocrazia che tuttora, anche nel campo della ricerca e dell'innovazione come in tanti altri, impedisce ai talenti di dare quello che potrebbero e rallenta un reale processo di sviluppo di tutto il Paese.

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