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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2012 alle ore 14:20.

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Due commenti fra i tanti sull'opzione politica di Mario Monti come capo politico della coalizione centrista. Il "Financial Times" si domanda se il premier sarà abbastanza abile «da ritagliarsi uno spazio nuovo nella netta opposizione sinistra-destra che esiste in Italia». E il francese "Le Monde" scrive che Monti «ha scelto il suo campo. E i suoi nemici».

Difficile non essere d'accordo. Il sogno o la speranza di un terzo polo accompagna la nostra storia democratica almeno dagli anni Cinquanta. Ma a ben vedere il progetto montiano ha poco da spartire con quelle remote ambizioni, coltivate soprattutto da intellettuali ed esponenti politici laici. La coalizione di cui il premier costituisce il motore non punta al terzo posto, bensì perlomeno al secondo. Intende cioè sostituire a tutti gli effetti l'"area Berlusconi" come punto di riferimento del centrodestra liberal-moderato. Un mondo che può considerarsi la proiezione italiana del Partito Popolare europeo e che da tempo osserva con un certo sgomento le evoluzioni dell'ultimo Berlusconi, il "populista" ormai fuori da quel circuito europeo di cui invece Monti si considera un sicuro interprete.
Ora non è un caso che il fondatore del Pdl, il dominatore della scena politica negli ultimi diciotto anni, si sia scatenato contro l'ex tecnico di Palazzo Chigi. Come dice "Le Monde", Monti si è scelto i suoi nemici. E il primo, il più ingombrante di tali nemici, è senza dubbio un Berlusconi giunto quasi all'epilogo, ma strenuo combattente contro chi gli sta sottraendo ogni ruolo politico e forse la maggior parte dello spazio elettorale.

La logica del "Porcellum" impedirà ai montiani di essere primi in Parlamento, salvo clamorosi colpi di scena, ma la battaglia nell'area moderata (chiamiamola così) è in corso e il premier ritiene di avere buone probabilità di vincerla contro il suo predecessore. Che infatti per contrastarlo tenta di rubare consensi a Beppe Grillo, in una rincorsa un po' assurda che la dice lunga sullo stato di salute del nostro sistema politico.

In fondo Berlusconi sta difendendo il vecchio, pessimo bipolarismo, con l'idea di fare un favore anche alla sinistra di Bersani rispetto al terzo incomodo. L'altro giorno Massimo D'Alema l'aveva detto con molta sincerità: «La vera competizione è fra noi (Pd-Vendola, ndr) e Berlusconi». Stringere Monti in una morsa è l'unica convergenza possibile oggi fra Bersani e Berlusconi, ma è una questione decisiva. È vero peraltro che il Pdl è il primo avversario del "montismo": non solo per le spinte populistiche e anti-europee che lo dominano, ma anche perchè lì, nel grande mare delle astensioni di chi un tempo aveva creduto in Berlusconi e ora se n'è distaccato, ci sono parecchi potenziali consensi per l'"agenda" del premier. Purché, s'intende, i centristi vecchi e nuovi sappiamo come sedurli e intercettarli.

Di certo però il fronte non potrà essere solo a destra. Guai se passa l'idea che l'alleanza fra Bersani e Monti è già scritta nel copione post-elettorale. La lista o la coalizione per essere credibile deve porsi anche in alternativa al Pd di Bersani. Questo l'ha capito bene Casini che è un politico esperto e sa quanto sia facile essere premiati dai sondaggi quando mancano due mesi alle elezioni e quanto invece sia difficile tenerseli, quei voti, via via che ci si avvicina alla data del voto.

Oggi i rischi di Monti sono soprattutto due. Primo, non riuscire a parlare all'opinione pubblica con un linguaggio semplice e accattivante. E parliamo di un'opinione pubblica che magari non ha letto l'"agenda europea", che non è troppo intellettualmente sofisticata, ma che costituisce la grande massa di manovra per qualsiasi forza che si proponga di superare il 20 per cento, cioè una soglia molto alta. L'"agenda" è un tema, un titolo, un punto politico: qualcosa che interpella la ragione, ma non smuove le passioni, non coinvolge gli stati d'animo. E qui c'è da conservare la tensione emotiva per otto settimane, sfidando le asprezze di una campagna elettorale che si annuncia, come è ovvio date le premesse, molto spietata.

Quanto al secondo punto, Monti dovrà tenere aperto il confronto a sinistra. Dovrà insistere nel mettere Bersani di fronte alle contraddizioni del Pd. Dovrà precisare in cosa la sua ricetta differisce da quella del partito che domani potrebbe essere il suo alleato. Non è un compito facile: è senz'altro più agevole incrociare i ferri con l'estremismo di Berlusconi. Ma i centristi, come ha colto Casini, non possono rischiare di essere troppo teneri verso la sinistra. Gli elettori che sceglieranno Monti vorranno vederci chiaro anche e soprattutto su questo punto. Certo, la storia insegna che combattere su due fronti non porta quasi mai fortuna, ma Monti ha la possibilità di fare del piccolo "centro" un autorevole protagonista della prossima legislatura. Sarà un'impresa titanica e tuttavia il premier ha dimostrato di avere coraggio. Del resto, se non ora, quando?
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