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Questo articolo è stato pubblicato il 22 gennaio 2013 alle ore 07:14.
Ora che la guerra delle liste si è conclusa, viene voglia di dar ragione ad Arturo Parisi (non ricandidato e spirito libero) che ammonisce: «attenti, anche il prossimo Parlamento sarà privo di vera legittimazione». Allusione un po' aspra, ma non errata, all'eterna questione delle candidature bloccate.
Il «Porcellum» si è confermato il vero dato immutabile della politica e questo peserà come un maleficio anche sul nuovo Parlamento. Le "primarie" del Pd a qualcosa sono servite, certo, ma il punto di fondo non cambia e investe la credibilità di tutte o quasi le forze politiche.
È ben vero che il peso della realtà ha obbligato il Pdl a compiere qualche gesto in cui si tiene conto dell'opinione pubblica. E il nome di Cosentino è adesso un simbolo del tentativo, insufficiente e contraddittorio ma pur sempre un tentativo, di presentarsi agli elettori con un'immagine moralmente più accettabile. Solo che questa piccola svolta ha lacerato il partito berlusconiano, ne ha scoperto l'intero lato oscuro, ha lasciato sul terreno livori e odii di ogni genere.
Se si vuole vedere il bicchiere mezzo vuoto, si può sostenere che Cosentino è solo uno dei personaggi che avrebbero meritato l'esclusione e invece si ritrovano nonostante tutto in lista con Berlusconi. E del resto le stesse modalità fra dramma e farsa che hanno portato all'uscita di scena del "ras" campano danno la misura di quale pozzo nero sia il Pdl in certe zone d'Italia. Quindi Berlusconi non potrà vantarsi più di tanto di aver compilato delle "liste pulite": su questo terreno il centrosinistra lo sovrasta, sia pure con qualche neo. E lo stesso vale per la lista Monti.
Chi invece vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, non sottovaluta il drammatico braccio di ferro che si è consumato ieri e la vittoria finale di Alfano. L'esclusione di Cosentino è senza dubbio un successo del segretario, anche perché non è isolata: altre figure che hanno problemi con la giustizia (non tutte) sono state indotte al ritiro. E in qualche caso si tratta di nomi storici, come quello di Dell'Utri. Certo, il dinamismo di Alfano non sarebbe stato possibile senza l'assenso e il tacito incoraggiamento di Berlusconi. Ma alla fine il risultato equivale a una piccola medaglia per il giovane segretario, l'indizio che un minimo di ricambio è in atto nel gruppo di vertice del Pdl.
Ovvio che non si tratta di una "questione morale", bensì tutta politica. Si è dimostrato che certi personaggi avrebbero fatto perdere voti d'opinione a Berlusconi soprattutto al Nord. Sacrificare Cosentino a Napoli vuol dire, con ogni probabilità, perdere la Campania. Ma significa anche - almeno sulla carta - dare una spinta alle liste del Pdl in Lombardia e Veneto. Là dove Berlusconi gioca la sua vera partita. Per impedire una maggioranza di centrosinistra a Palazzzo Madama, senza dubbio, ma anche per non perdere il contatto territoriale con il settentrione. Lì è nato il movimento berlusconiano e lì potrebbe esserne sancita la fine in modo esplicito e conclamato.
È come se il vecchio leader volesse tentare l'estrema resistenza nelle zone che gli sono più familiari e dove però molti elettori gli hanno mandato chiari segnali d'insofferenza. Ecco allora il tormentato, ma inesorabile sacrificio di Cosentino. Che peraltro non garantisce affatto il ritorno all'età dell'oro nelle regioni settentrionali.
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