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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2013 alle ore 06:40.

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C' è uno scenario elettorale che fino ad oggi quasi nessuno ha preso veramente in considerazione ed è la vittoria di Berlusconi alla Camera. Che vinca Bersani in questa arena era, ed è, per i più una cosa scontata. Tanto che da molte settimane tutte le analisi si sono concentrate sulla lotteria del Senato dove effettivamente non è detto che la coalizione Bersani-Vendola possa ottenere la maggioranza assoluta dei seggi.

Dipenderà dall'esito del voto in alcune regioni chiave che sono state identificate e monitorate. In particolare Lombardia, Sicilia e Campania. E se invece la vera incognita fosse diventata la Camera?
Diversi sondaggi pubblicati venerdì scorso davano ancora un distacco di 5-6 punti percentuali tra le due coalizioni maggiori. In tempi normali e a pochi giorni dal voto dovrebbe essere un margine di sicurezza per vincere alla Camera, dove basta avere un voto più degli altri per ottenere il premio di maggioranza.

Ma questi non sono tempi normali. È possibile che i sondaggi non ci diano una fotografia del tutto accurata dello stato dell'opinione pubblica. Dentro i numeri ci potrebbe essere un "effetto Berlusconi" simile a quello che negli USA viene definito l'"effetto Bradley", il candidato nero a sindaco di Los Angeles la cui popolarità nei sondaggi era sistematicamente sovrastimata perché molti elettori bianchi si vergognavano di ammettere che non erano disposti a votare un candidato di colore. Con Berlusconi oggi, come per la Dc ai tempi della Prima Repubblica, potrebbe accadere una cosa simile. E forse in qualche misura potrebbe essere vero anche per Grillo. Ci sono "tecniche" per correggere questo fenomeno distorsivo ma non c'è certezza che funzionino del tutto. È anche questo il motivo per cui i sondaggi danno distacchi anche molto divergenti. Accanto a quelli citati sopra ce ne sono altri per cui la distanza registrata la settimana scorsa era di soli 4 punti e uno, quello di Euromedia Reserach, la società più vicina a Berlusconi, che la stimava addirittura a meno di due punti. Con distacchi simili quello che sembrava inimmaginabile poche settimane non lo è più.

Ci sono due modi per vincere le elezioni. Uno è quello di rincorrere il tuo avversario e superarlo conquistando un voto in più. L'altro è quello di vedere il tuo avversario perdere voti. Fino a ora la prospettiva di analisi di queste elezioni era la prima. Con una coalizione Pd-Sel sopra il 35% dei voti alla Camera non era ipotizzabile che Berlusconi potesse vincere. Lì non ci arrivava e non ci arriva. Ma quello cui abbiamo assistito in queste ultime settimane di campagna elettorale non è solo il recupero, largamente prevedibile, del Cavaliere ma la lenta erosione del Pd e del suo alleato Sel. È la somma di questi due fenomeni che rimette in discussione certezze consolidate. Noi non crediamo, e lo abbiamo scritto su questo giornale, che ci siano larghi margini di recupero per Berlusconi. Questa volta, rispetto al 2006, ha troppi competitori tra cui un Grillo in grande spolvero in questa fase. Eppure, se continua la discesa del Pd e di Sel al Cavaliere basterà guadagnare poco di più di quello che ha in cassa ora per tornare a giocarsi la partita alla Camera. Se l'asticella del voto in più scende e si attesta poco sopra il 30% è un'altra storia. Arrivati a questo punto una differenza importante la potrà fare sia alla Camera che al Senato il voto utile.

A partire da metà dicembre il Pd ha perso quasi 6 punti percentuali e la coalizione nel suo complesso ne ha persi quasi 8 (dati Ipsos). A questo trend hanno contribuito una serie di fattori. Alcuni comprensibili, altri meno. Era naturale che dopo la grande mobilitazione delle primarie ci fosse un appannamento. Ma è durato troppo. Va bene la campagna di rimessa di Bersani ma perché il Pd non è in mezzo alla gente come fa Grillo? Dove sono i volontari che hanno animato il confronto per le primarie? Non bastano i social media per fare una campagna elettorale. Servono anche le piazze e il porta a porta. Obama insegna. E poi naturalmente ci sono gli scandali e le omissioni. Tra i primi naturalmente il Monte dei Paschi, che – non c'è dubbio – ha fatto danni alla immagine e al bacino di consensi del Pd. Quanto alle omissioni sono tante, ma una su tutte spicca in modo clamoroso: una proposta convincente e comunicata ossessivamente sui costi della politica. Una riforma che sta in cima ai desideri degli italiani e che non costa niente. Anzi.

Queste elezioni le vincerà non il più forte, come è sempre stato nel corso della Seconda Repubblica, ma il meno debole. Con pochi voti chi vince si porterà a casa tutta la posta. È uno scontro tra due debolezze in un mondo che cambia. Sarà una fine di febbraio molto calda, a dispetto delle temperature di questi giorni. Ma chissà, forse le dimissioni del Papa cambieranno qualcosa.

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