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Questo articolo è stato pubblicato il 12 febbraio 2013 alle ore 06:38.

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Qualcuno pensa che nella sostanza la campagna elettorale sia finita ieri, nel momento in cui si è diffusa la notizia delle dimissioni del Papa. È un'idea persino paradossale, ma non è un'idea assurda. Sono eventi, certo, che viaggiano su strade diverse e in apparenza non hanno punti di contatto. Eppure è impensabile che non ci siano conseguenze.

Bisogna almeno immaginare che la bassezza e la trivialità di questi ultimi giorni lascino il campo a una maggiore serietà e a una più profonda consapevolezza: in fondo il gesto di Benedetto XVI, pieno di sottintesa amarezza per lo stato della Chiesa, è a questo che rimanda. Si è voluto vedere nelle dimissioni l'irruzione della "modernità" nelle stanze vaticane e può darsi che sia così. Ma in tal caso è ancora più evidente che la spinta alle riforme è destinata a irradiarsi, se non altro sul piano delle attese psicologiche, e forse a diventare la priorità di un sistema politico – quello che a Roma si prepara alle elezioni – da tempo semi-paralizzato nel suo fallimento.

Questo è il primo nesso che si può stabilire fra la stagione elettorale e l'uscita di scena di un Papa che era stato dipinto come un conservatore e che ora lascia la scena quasi come un riformatore estremo: al punto di rinunciare al pontificato perché non si sente più in grado di far fronte al governo della Chiesa. L'altro nesso riguarda il sentimento dell'elettorato cattolico. Ancora pochi giorni fa il presidente della Cei, cardinal Bagnasco, aveva usato toni duri e anche inusuali per condannare l'attitudine parolaia e vuota di una politica che si propone solo di "abbindolare" gli elettori.

Ognuno naturalmente ha letto quello che ha voluto nelle sue parole, ma non si può dimenticare che pochi anni fa i vescovi appoggiavano Berlusconi per necessità o convenienza, mentre oggi quel tempo sembra definitivamente superato. La nuova stagione della serietà coinvolge anche le scelte del mondo cattolico, non solo rispetto ai temi "morali" (matrimoni gay eccetera) ma in particolare alla crisi economica.

In definitiva, però, il vero intreccio fra la rivoluzione in Vaticano e gli sviluppi politico-istituzionali in Italia riguarda l'accavallarsi delle scadenze. Nel giro di poche settimane avremo il voto per il Parlamento, poi l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, mentre al di là delle mura leonine comincerà il conclave. Più o meno negli stessi giorni verranno a maturazione, almeno si spera, le trattative per formare il primo governo della legislatura. Ancora pochissime settimane e il Parlamento si riunirà in seduta comune per eleggere il nuovo capo dello Stato. Le due sponde del Tevere si osserveranno reciprocamente perché entrambe verranno a trovarsi in una condizione di rara instabilità.

Uno strano allineamento astrale, si potrebbe dire, sullo sfondo degli sconvolgimenti che tanti si aspettano di leggere nel responso delle urne. Non a caso Beppe Grillo è stato lesto nel vedere nelle dimissioni del Papa l'annuncio di eventi ancora più straordinari nella Roma repubblicana. Ma prima di vendere la pelle dell'orso bisogna prenderlo.

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