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Questo articolo è stato pubblicato il 14 febbraio 2013 alle ore 08:16.

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Perché stupirsi se Beppe Grillo si farà intervistare domenica da una rete televisiva (Sky)? Non c'è mai stata da parte sua una scomunica del mezzo televisivo: al contrario, Grillo ha dimostrato di saperlo usare con maestria, anche nella sua precedente vita di comico.

La proibizione riguardava militanti e quadri del Movimento, personaggi sulla cui efficacia mediatica il capo nutre con evidenza parecchi dubbi, spesso giustificati. Ma per se stesso Grillo ha sempre scelto il palcoscenico che reputa più conveniente, in quella logica di assoluto egocentrismo che è un po' la cifra del fenomeno politico da lui inventato.
Nel bene e nel male, in queste elezioni egli è il re del populismo e del voto di protesta. Ma come evolverà la sua parabola dopo il 25 febbraio nessuno può dirlo: sarà effimera come Giannini nel dopoguerra o Poujade nella Francia degli anni Cinquanta?
Né il primo né il secondo, in contesti differenti, seppero modificare nel profondo il corso della politica. Si limitarono a dar voce a un risentimento di massa, figlio di una fase disordinata. Entrambi furono presto sconfitti dagli eventi, ma ci fu bisogno di due personaggi di eccezionale levatura: De Gasperi nel caso di Giannini e il generale De Gaulle nell'esempio francese. Due "ricostruttori" di Stati, capaci di colmare il vuoto, rassicurare l'opinione pubblica e guardare al futuro. Siamo proprio sicuri che anche Grillo sia in procinto di trovare sulla sua strada, nell'Italia del 2013, avversari di tale caratura in grado di riassorbire la sua rabbia? C'è da dubitarne.

In attesa di una risposta alla domanda, salta agli occhi che l'andamento della campagna sembra fatto apposta per facilitare il compito dei Cinque Stelle. Gli scandali a ripetizione, dal Monte dei Paschi al singolare buco nero giudiziario in cui sprofonda Finmeccanica, rappresentano il miglior carburante per le scorrerie grilline. E l'uscita televisiva, mescolata a una presenza attiva sui marciapiedi di tutte le città, indica una strategia tutt'altro che banale. Si dà il caso peraltro che le forze tradizionali, quale più quale meno, abbiano reagito alle provocazioni di Grillo in modo assai prevedibile: qualche anatema, ma più spesso lusinghe, nel tentativo di catturare le simpatie "anti-casta" di quel mondo. Il che ovviamente stona parecchio con la realtà di una classe politica giunta alla scadenza elettorale senza aver fatto alcuna auto-riforma.
Berlusconi si è illuso di fare concorrenza al comico e di essere credibile nelle vesti di super-Grillo. Bersani avrebbe potuto spendere meglio le qualità di Renzi, l'unico in grado di parlare il linguaggio giusto, ma non lo ha fatto. Così ancor oggi la miglior carta di Grillo è l'essere uno contro tutti: condizione eccellente per rastrellare voti quando non ci si voglia misurare con la fatica di governare.

Nell'Italia odierna, scossa e malcerta, questa condizione può valere senz'altro quel 17 o 18 o financo 20 per cento indicato dai sondaggi prima dell'oscuramento. Un livello quasi incontenibile per rintuzzare il quale al prossimo Parlamento servirebbe una coesione effettiva e una capacità riformatrice di cui non si vede traccia. Occorrerebbe un "ricostruttore" quali furono De Gasperi o De Gaulle. Altrimenti, nello sfilacciarsi delle istituzioni, il "grillismo" prospererà. Senza beninteso assumersi mai responsabilità e oneri.

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