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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2013 alle ore 06:28.
Non sembra che qualcuno abbia idee chiare al riguardo, Grillo a parte. Ma da oggi, una volta contati i voti e i seggi, si dovrà tornare con i piedi per terra. Partendo dalle cose concrete. E cioè:
eÈ illusorio credere che i Cinque Stelle siano pronti a fare concessioni al centrosinistra, il gruppo più forte in quanto titolare del "premio" di governabilità a Montecitorio. Il loro leader ha già detto che il 25 febbraio costituisce solo una tappa sulla via della maggioranza assoluta. Dal suo punto di vista, difficile dargli torto.
rPd e Pdl solo in apparenza hanno salvato qualcosa del vecchio bipolarismo, poiché sono riusciti a sopravvivere a se stessi. Intanto perché con tutta evidenza il sistema bipolare è in realtà diventato tripolare (con Grillo) e addirittura quasi quadripolare, se si considera il pur modesto raggruppamento che fa riferimento a Monti (costato il suicidio di Casini e Fini). Ma Pd e Pdl hanno un disperato bisogno di rinnovarsi in modo radicale nelle idee, nei programmi e nelle persone. La destra non può reggersi ancora solo sullo spregiudicato attivismo di Berlusconi. La sinistra non può rivolgersi al Paese senza comprenderlo a fondo, come se l'Italia fosse ancora quella di trent'anni fa, magari immaginata alla stregua di una grande Emilia Romagna.
Lo scenario che si apre a breve termine è drammatico. C'è bisogno di un accordo istituzionale per eleggere il capo dello Stato, oltre ai due presidenti di Camera e Senato. Ma prima ancora c'è la necessità improrogabile di individuare una chiave per gestire il Parlamento. Ci sono due possibilità, entrambe di estrema complessità. La prima è anche velleitaria: dar vita a un governo Pd minoritario, fondato sul premio di maggioranza alla Camera e sulla buona volontà al Senato. Si può immaginare come sarebbe giudicato nella comunità internazionale. La seconda invece è un'intesa di grande coalizione, variamente declinata.
Quest'ultimo punto (la grande coalizione) equivale al tabù assoluto. Pd e Pdl che stringono un patto di governo? Sulla carta, impensabile. Ma sarebbe soprattutto un patto per fare tre o quattro riforme, a cominciare dalla legge elettorale, e poi tornare al voto entro un lasso di tempo ragionevole. Se fosse solo un accordo per galleggiare, prepariamoci al successivo trionfo definitivo di Grillo. Se fosse invece un accordo davvero transitorio, ben finalizzato, equivarrebbe invece a quel segno di riscossa, da parte di un sistema malato cronico, che oggi appare indispensabile.
iIl compito a cui si accinge Giorgio Napolitano nelle ultime settimane del suo mandato è quasi proibitivo. Ma l'attuale presidente della Repubblica è anche l'unico ad avere l'autorità e l'esperienza per affrontarlo. Trovare il suo successore, del resto, non è mai stato così difficile. Per un Parlamento polverizzato rischia di essere un compito impari, estremo fattore di paralisi. Ecco perché l'ipotesi di una rielezione di Napolitano, imposta da circostanze straordinarie, da oggi ha una qualche legittimità, al di là della contrarietà espressa a più riprese dal diretto interessato.
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