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Questo articolo è stato pubblicato il 26 febbraio 2013 alle ore 02:49.
«Si torni a votare». L'idea del ritorno immediato alle urne ha fatto capolino in parecchie analisi nel pomeriggio elettorale, soprattutto per bocca di alcuni esponenti di punta del Pd (in testa il responsabile economico Stefano Fassina) delusi dai numeri che stavano uscendo dalle urne. Per quanto suggestiva, però, l'opzione è impossibile. L'ostacolo insormontabile è rappresentato dal Quirinale, dove il presidente della Repubblica si trova in pieno "semestre bianco" in vista della scadenza del settennato che arriverà a metà maggio.
Negli ultimi sei mesi del mandato, come spiega l'articolo 88 della Costituzione, il Capo dello Stato non può sciogliere le Camere, a meno che il semestre coincida in tutto o in parte con la fine naturale della legislatura. Morale della favola: il compito di individuare il successore di Napolitano tocca al nuovo Parlamento, integrato dai rappresentanti delle Regioni, all'interno di un panorama politico tutto da decifrare. Impossibile al momento fare qualsiasi previsione: sembra comunque tutta in salita la strada di una scelta condivisa, in grado di replicare le esperienze di Ciampi nel 1999 (eletto alla prima votazione) e dello stesso Napolitano nel 2006 (quarta votazione). Più probabile, vista la geografia politica frastagliata e ricca di incognite, l'arrivo alla settima votazione, quando la soglia per l'elezione si abbassa dalla maggioranza qualificata dei due terzi a quella semplice.
Prima di allora, comunque, il calendario istituzionale è ricco di altri passaggi cruciali, a partire dall'elezione dei due nuovi presidenti di Camera e Senato. Anche in questo caso ogni pronostico è prematuro, e è più facile prevedere quel che non succederà: a non ripetersi sarà una prassi consolidata della Seconda Repubblica, che a differenza della prima ha in genere assegnato entrambi i presidenti alla maggioranza. A Palazzo Madama una maggioranza oggi non c'è.
Insomma, nonostante la roulette dei risultati c'è l'obbligo anche istituzionale di mandare avanti i riti classici di inizio legislatura, ovviamente con tanto di consultazioni e mandato esplorativo per cercare una maggioranza di Governo in entrambi i rami del Parlamento. Se l'impresa si rivelasse impossibile, toccherebbe al nuovo inquilino del Colle il compito di sciogliere la matassa. Ad arricchire il ventaglio degli scenari possibili torna in campo l'articolo 88 della Costituzione, dove al primo comma si spiega che
«il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse». Non è detto, insomma, che l'eventuale bandiera bianca si debba alzare su entrambe le Assemblee: il nuovo presidente potrebbe chiudere i battenti solo al Senato, per cercare di salvare il salvabile di una legislatura appena nata. A questo punto, a creare problemi, torna in campo la politica, sotto forma di legge elettorale: il Porcellum è nato a fine 2005 con lo scopo non dichiarato di rendere difficile la formazione di una maggioranza al Senato, e fino a oggi ha svolto egregiamente questa sua funzione "informale": nulla fa pensare che un nuovo tentativo, per di più in un clima politico che a quel punto sarebbe esacerbato dalle tensioni, possa produrre risultati diversi.
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