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Questo articolo è stato pubblicato il 27 febbraio 2013 alle ore 07:04.

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Con le borse che crollano e il Mib che in un giorno perde cinque punti, ci vuole poca immaginazione per capire quanto l'Italia abbia bisogno in fretta di un governo nel pieno delle sue funzioni, antidoto al vuoto in cui rischia di dissolversi il Paese. Governo politico, è evidente, perché ormai la stagione dei tecnici è tramontata, come è ovvio che sia all'indomani di elezioni così significative.


Tuttavia, se questo è l'obiettivo, i primi passi della stagione post-elettorale non sono convincenti. Certo, esiste un problema procedurale e istituzionale che impone tempi non brevi e che riconduce i fili del gioco nelle mani di Giorgio Napolitano. Ma poi si coglie un aspetto politico prevalente che riguarda la responsabilità delle forze in campo. Qui le parti in commedia sono diverse, e purtroppo anche confuse.
Beppe Grillo, il vincitore delle elezioni, il più vitale dei personaggi sulla scena, si limita a dire: vedremo, valuteremo, decideremo in Parlamento punto per punto. Pragmatico ed evasivo. Può permettersi di tenere questa posizione: è il capo di un movimento «contro» e non spetta a lui, almeno in prima battuta, farsi carico del governo. Può giocare al gatto con il topo.
Poi c'è Bersani. Triste e deluso, ma pur sempre titolare del partito con il maggior numero di seggi fra Senato e Camera (anche grazie al Santo Porcellum, sistema elettorale tanto deprecato quanto provvidenziale per il Pd). Cosa dice Bersani? Più o meno le stesse cose di Grillo: dialogheremo, discuteremo, cercheremo intese su questo o quel punto programmatico. La differenza è che Bersani, a differenza del leader Cinque Stelle, annuncia un'iniziativa, ossia un documento da sottoporre al Parlamento. E quando si dice Parlamento s'intende solo l'esercito dei "grillini", perché sull'altro versante – quello di Berlusconi – Bersani non ha alcuna voglia, almeno in questa fase, di discutere. Su questo è stato chiaro: no alla grande coalizione sotto qualsiasi forma.
Tuttavia non si sfugge all'impressione che la rotta sia incerta e lo sbocco finale aleatorio. L'iniziativa bersaniana è ancora generica e soprattutto spalmata in tempi troppo lunghi. Si parla quasi della fine di marzo, quando Napolitano avrà fatto le sue consultazioni e affidato l'incarico. Circa un mese da oggi che non si capisce come sarà riempito. Fra l'altro l'inerzia è una cattiva consigliera: espone la nazione alle manovre dei mercati, ma può anche accentuare il malessere all'interno del centrosinistra. Per ora sono quasi tutti sorpresi e un po' smarriti, ma un mese è lungo. Bersani dovrebbe preoccuparsi di dare ai suoi qualcosa da fare, tracciare una rotta chiara per il rinnovamento del partito.
In ogni caso, lo scenario evocato ieri dal segretario del Pd porta non alla «strana maggioranza» dell'anno scorso, bensì a una «stranissima maggioranza» con Grillo che farà il bello e il cattivo tempo. Come può Bersani accontentarsi di una serie di accordi saltuari in Parlamento, senza un'intesa che sancisca un quadro di stabilità? Vedremo presto. Soprattutto vedremo quali saranno i margini che Napolitano lascerà al leader del Pd se e quando deciderà di affidargli l'incarico. Certo, se governo politico deve essere, è difficile immaginare che sia praticabile l'ipotesi ventilata fra le righe dai "grillini": una fiducia decisa volta per volta e un percorso programmatico da valutare allo stesso modo, un passo per volta, negoziando e rinegoziando.
Per Grillo e i suoi, che non sempre sono estremisti irragionevoli, è il modo giusto di stare in Parlamento. Ma per Bersani è troppo poco. Non risponde all'esigenza di stabilità posta dall'Europa e inoltre il rischio è di finire sotto la piena egemonia "grillina". Un prezzo alto per tenere lontano il Pdl.

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