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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 11:01.

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Le resistenze locali alla termovalorizzazione degli scarti è ancora forte, ma il via libera della Camera alla possibilità di utilizzare i cementifici come piccoli termovalorizzatori, ci avvicina alla soluzione di uno dei blocchi alla base delle continue emergenze rifiuti. Non tutti i rifiuti si possono riciclare e quindi anche nei Paesi dove la raccolta differenziata arriva a percentuali doppie rispetto all'Italia, come in Germania, resta comunque un 40% di scarti che andrebbero in discarica, ma si possono trasformare in energia. Per fare questo si utilizzano soprattutto i termovalorizzatori, ma anche i cementifici, che hanno degli altiforni adatti a questa funzione.

In Italia, però, le autorizzazioni ai cementifici arrivano con il contagocce e praticamente solo da Roma in su, per la forte opposizione che questa pratica incontra a livello locale, soprattutto al Centro-Sud. Ora la decisione della Camera – atteso il regolamento attuativo – dovrebbe consentire ai cementieri di ottenere più facilmente l'autorizzazione a bruciare, nei loro altiforni, quella parte di rifiuti che non può essere recuperata come materia riciclabile, mantenendo sempre criteri molto restrittivi a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini. Da un lato, si taglia il consumo di materie prime vergini, come il carbone, che viene solitamente utilizzato a questo fine, sfruttando invece una fonte rinnovabile.

Dall'altro, si apre a una gestione più efficiente dei rifiuti, riducendo la quantità di scarti che, dopo il processo di differenziazione e riciclo, vanno a finire in discarica. Di conseguenza, caleranno anche i costi pagati dai cittadini per lo smaltimento. Con appena 46 termovalorizzatori (contro i 129 francesi e i 75 tedeschi) e neanche 6 milioni di tonnellate di rifiuti trattati per produrre energia (contro 13 milioni in Francia e 21 milioni in Germania), l'Italia è uno dei Paesi europei con più spazio per crescere in questo settore. Per Buzzi, Italcementi, Holcim, Cementirossi, Colacem e gli altri cementieri italiani, impegnarsi in questa direzione è del tutto coerente con il loro sforzo verso una maggiore sostenibilità del settore. Sul piano del risparmio delle risorse naturali, i membri dell'associazione confindustriale del cemento, l'Aitec, hanno già sostituito le materie prime vergini con rifiuti e scarti derivanti da altre attività industriali per quasi il 7% dei loro prodotti e nel 2012 hanno evitato 240mila tonnellate di emissioni di anidride carbonica, grazie all'utilizzo di 300mila tonnellate di combustibili alternativi, contenenti biomassa. Ma ci sono anche altre imprese che sarebbero pronte a investire in questo mercato. Il gruppo Erg, dopo l'uscita dagli idrocarburi, ha appena annunciato l'intenzione di entrare nel "waste to energy", proprio nell'ambito dei cementifici: l'idea è di mettere a frutto il know-how raccolto in 70 anni di raffinazione, rilevando piccoli impianti, che avrebbero bisogno di un revamping per arrivare alla profittabilità. (El.C.)

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