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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 11:01.
Trasparenza, sicurezza, sostenibilità. Solo i chimici potranno salvare il pianeta dalla chimica, inventando nuovi modi di produrre e di riciclare, una nuova gamma di materiali sostenibili e idee nuove per ridurre l'impatto ambientale del settore. Ci si prova, da una ventina d'anni, con l'iniziativa globale Responsible Care, che raccoglie il 90% delle imprese chimiche mondiali e al quale l'Italia ha aderito nel '92. Si tratta di un programma volontario, che impegna le imprese a perseguire miglioramenti nelle aree sicurezza, salute e protezione ambientale.
Nel suo complesso, l'industria chimica italiana (circa 3mila imprese per un fatturato di 53 miliardi, il 6% del Pil manifatturiero nazionale) destina 712 milioni l'anno per lo sviluppo sostenibile e in questi vent'anni ha tagliato le proprie emissioni di gas serra del 67% rispetto ai valori del 1990, raggiungendo e superando non solo l'obiettivo del protocollo di Kyoto, ma anche quello più ambizioso fissato dall'Ue per il 2020, come si legge nel rapporto annuale di Federchimica, presentato dal presidente Cesare Puccioni.
L'efficienza energetica del settore in questi vent'anni è migliorata del 45% e i consumi di energia sono calati del 37%, una performance superiore a quella del manufatturiero, che si ferma al 13 per cento. Questi progressi pongono l'industria chimica italiana al secondo posto nella classifica dell'efficienza energetica in Europa, dietro alla Germania. Quello chimico, inoltre, è il settore manifatturiero più sicuro, con 10,6 infortuni per un milione di ore lavorate, contro una media di 19,1. Al gruppo Radici è stato assegnato quest'anno il premio per la migliore gestione del rischio, mentre Dow Italia ha tagliato il traguardo di 10 anni senza incidenti, grazie alla campagna "zero incidenti, zero infortuni, zero scuse". Sono risultati importanti, per un'industria associata ancora oggi al più grave incidente industriale di tutti i tempi (16mila morti a Bhopal) e in Italia al marchio d'infamia del disastro di Seveso.
Le emissioni inquinanti, in questi vent'anni, sono calate del 95% in aria e del 65% in acqua. In aria, gli ossidi di azoto sono calati dell'87%, i composti organici volatili del 90%, le polveri del 97% e l'anidride solforosa del 7 per cento. Le emissioni inquinanti in acqua sono diminuite del 36% per i metalli pesanti, del 68% per l'azoto e del 76% per la domanda chimica di ossigeno. I rifiuti derivanti dall'attività di produzione sono stati ridotti del 12% rispetto al 2005, mentre è in aumento del 122% la componente destinata a recupero, a fronte di un taglio degli scarti avviati a discarica del 7,1 per cento. Ma non basta: il mondo ha bisogno di prodotti sempre più sostenibili e l'industria chimica si conforma. Il dato più interessante riguarda proprio le emissioni di gas serra evitate grazie ai prodotti innovativi, dalle nuove bottiglie di plastica alle lampade a basso consumo, che complessivamente in fase di utilizzo fanno risparmiare in media oltre due volte le emissioni di gas serra richieste dalla loro produzione, un rapporto che potrà salire a quattro volte entro il 2030. Qualche esempio: il rapporto è di 9:1 per i detergenti a bassa temperatura, di 20:1 per le lampade fluorescenti compatte, di 111:1 per gli additivi dei carburanti diesel e addirittura di 233:1 per gli isolanti termici dell'edilizia. Sforzi importanti sono stati compiuti anche per conservare le risorse naturali, evitandone l'eccessivo sfruttamento.
'uso di acqua potabile da acquedotto dell'industria chimica si limita ad appena l'1,4% e da pozzo al 9,8 pe cento. Le fonti principali di approvvigionamento sono mare e fiumi (88,8%). Obiettivo della chimica è anche quello di tagliare i consumi di petrolio come materia prima: da un barile di greggio, oggi, si può ricavare carburante per un viaggio di mille chilometri in automobile, oppure 72 litri di virgin nafta, sufficienti per produrre 3 sedie da giardino, 5 coperte, 13 pneumatici da bici, 240 flaconi di detersivo e 500 paia di collant.
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