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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 11:03.

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Si chiamano "infrastrutture verdi" e potrebbero portare all'Italia un bel mucchio di denari, fino a cinque miliardi di euro, sotto forma di finanziamenti europei. Ma c'è di più. Se nei prossimi mesi sapremo convincere l'Europa fornendo le giuste risposte e soprattutto le dovute garanzie di buon impiego del nuovo tesoro ambientale, potremmo farne un poderoso volano del made in Italy nella Green economy. Capace di dare credibilità agli accorati moniti che giungono dai più quotati analisti: dal centro studi della Confindustria all'Enea, che con i loro rapporti sulla road map europea per l'armonizzazione e l'efficienza energetica, hanno assegnato all'Italia un fermo richiamo. Dobbiamo, ma soprattutto possiamo fare molto di più, giocandoci le nostre ottime prerogative tecnologiche e industriali per diventare capofila nell'economia pulita.
Ed ecco, l'apparentemente provvidenziale programma europeo per le infrastrutture verdi deriva dal quadro strategico per la ricerca di innovazione da 75 miliardi di euro in sette anni che la Ue ha denominato Horizon 2020. I progetti per le infrastrutture verdi verranno discussi dal Consiglio e dal Parlamento europeo nelle prossime settimane, con la promessa di lanciare i primi bandi operativi nella seconda settimana di dicembre.


Entro la primavera del prossimo anno sono previsti lo screening e la validazione delle iniziative. Per attivare i finanziamenti dopo l'estate, attraverso fondi che verranno erogati dalla commissione europea in collaborazione con la Banca europea degli investimenti. Tutela delle aree naturali, salvaguardia del suolo come ecosistema, rete idrografica, aree costiere, ma anche verde urbano e iniziative integrate per conciliare le zone di industrializzazione e di insediamento economico con la tutela dei territori all'insegna dello sviluppo sostenibile. Gli strumenti ci sono. Fanno perno - spiegano a Bruxelles - su cinque fonti di finanziamento già attive: il fondo europeo per lo sviluppo regionale, il fondo sociale europeo, quello rurale, quello per la pesca, il fondo life.

Ma servono (ci chiede la Ue per attivare i co-finanziamenti) mappe dettagliate, programmi precisi, impegni costruiti su scale prioritarie e correlati a tempistiche vincolanti. All'insegna, e questo costituirà titolo preferenziale, della collaborazione tra pubblico e privato. Per ora sappiamo che il bacino di interventi è davvero colossale, se è vero, lo dice la Ue nei suoi studi, che le possibili iniziative per le infrastrutture verdi potrebbero teoricamente coprire da noi, al pari con la Francia, l'estensione record del 95% del territorio, per una superficie di quasi 290mila chilometri quadrati. Anche se una stima più realistica limita il bacino di effettiva applicabilità a un'area, comunque gigantesca, del 50% del territorio. I buoni esempi, di quel che si può fare e che in parte già si fa non mancano. Anche nel nostro Paese. Ma a delineare l'impegnativo programma dovrà essere innanzitutto il Ministero dell'ambiente in stretta correlazione con quello dello Sviluppo economico e quello delle Infrastrutture. «Ce la faremo. Entro le prime settimane del nuovo anno tutto sarà pronto», azzarda il ministro dell'Ambiente, Andrea Orlando. «Nella preparazione del quadro strategico Horizon 2020 il ministero dell'Ambiente ha lavorato molto – rileva Orlando – sui temi dell'innovazione, più vicini alle attività di ricerca di molte nostre università e alla tipologia delle imprese italiane, caratterizzate da dimensioni medio piccole. Per le quali il programma europeo può effettivamente rappresentare una grande opportunità. Per costruire alleanze non solo fra atenei e aziende, ma anche con partner stranieri con cui condividere e scambiare esperienze. Ben sapendo che sono proprio i settori dell'innovazione nella sostenibilità e quelli legati alla Green economy a dimostrare di sfidare con brillanti risultati la crisi garantendosi un ottimo trend di crescita».

Ma il gioco sarà davvero duro. Lo testimoniano accreditati osservatori, anche all'interno delle istituzioni nazionali ed europee. Ennesimo fiasco in agguato per il nostro Paese? Si, ha ammonito Pia Bucella, direttore della Dg ambiente della commissione Ue, in un convegno sulle infrastrutture verdi realizzato a Milano dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile in collaborazione con il Gruppo 24 ore. «Se l'Italia non definirà ed espliciterà con precisione i suoi obiettivi in relazione alle infrastrutture verdi all'interno dei suoi programmi nazionali, non avrà accesso ai fondi europei pur essendo tra i principali destinatari». La storia, del resto, non è dalla nostra parte. Prendiamo ad esempio i bandi per i finanziamenti alle piccole innovazioni attivati nel 2012 (Cip Eco Innovation Program).

Dalla sintesi dei risultati finali emerge che l'Italia ha esibito un secondo posto tra i Paesi europei per numero di partecipanti ai progetti selezionati, con 35 adesioni. Ma poi è risultata sedicesima nel rateo di successo, che non ha raggiunto il 20%, "galleggiando" solamente grazie alle dignitose prestazioni ascrivibili alle Pmi, che vantano un tasso di successo del 64 per cento. "Operazione impervia" incalza Fedora Quattrocchi, esperta di politiche infrastrutturali e responsabile dello stoccaggio geologico e della geotermia dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia: «Manca la mappatura del territorio, addirittura la metodologia e le norme per definirla. Manca un approccio integrato per pianificare gli interventi. Nell'edilizia, nell'energia, nei rifiuti, nel sottosuolo: diversi protagonisti lavorano senza parlarsi. Cominciamo da qui, creando un sistema integrato e sinergico» invoca la studiosa.

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