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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 10:57.

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Mike BiddleMike Biddle

Per produrre una tonnellata di plastica ci vogliono 900 litri di petrolio, 180 metri cubi d'acqua e 14mila kiloWattora di energia. Per una tonnellata di plastica riciclata, invece, bastano 2 tonnellate di plastica usata, 1 metro cubo d'acqua e 950 kiloWattora di energia.

In Europa consumiamo ogni anno 40 milioni di tonnellate di plastica. E ne ricicliamo meno del 10 per cento. Basta fare il calcolo per rendersi conto di quanta materia prima e di quanta energia si potrebbero risparmiare, recuperandola tutta. Mike Biddle, pioniere del riciclo della plastica e co-fondatore del leader tecnologico Mba Polymers, ci prova. Nella zona industriale di Kematen, lungo l'autostrada fra Vienna e Salisburgo, c'è uno dei suoi impianti europei: in tutto il continente ce ne sono solo sei in grado di separare e riciclare correttamente la plastica, ottenendo una materia prima adatta a prodotti di marchi famosi come Aeg o Nespresso. Questo è il più grande.

«Costruire bene le cose è complicato, ma disfarle bene lo è ancora di più», fa notare Chris Slijkhuis, direttore dello stabilimento Mba Polymers. Disfarle significa separare i materiali di cui sono fatte per rimetterli in circolo come fossero nuovi. Per i metalli, il vetro e la carta c'è già da tempo un mercato consolidato, ma per le plastiche industriali l'interesse è recentissimo. In Europa vetro e carta vengono riciclati al 50% e l'acciaio quasi al 100%, tanto che l'acciaio tedesco è prodotto almeno al 50% da resti rottamati. Anzi, lo slancio di valorizzazione è tale che la Germania sta addirittura prendendo in considerazione l'ipotesi di andare a scavare nelle discariche già bonificate per tirar fuori anche da lì i metalli rimasti sepolti. Non è così, invece, per i materiali plastici, che anche quando rientrano nella catena del riciclo (e non vanno in discarica), nel 90% dei casi finiscono in un termovalorizzatore. Eppure la plastica è più preziosa dei metalli, infatti costa più cara.

Il motivo di questo insuccesso è semplice: rame, ottone, acciaio e alluminio sono facili da separare, grazie a una densità diversa, comportamenti diversi sotto il profilo elettrico e magnetico, perfino colori diversi. I materiali plastici, invece, hanno identiche proprietà elettriche e magnetiche, densità molto simili e possono essere di qualsiasi colore, indipendentemente dalla catena polimerica che li costituisce. Di conseguenza, i sistemi tradizionali di separazione dei metalli non funzionano con la plastica.
Lo sa bene Biddle, ingegnere californiano pioniere dei processi industriali necessari per rendere remunerativa la plastica riciclata. I suoi impianti, in California, in Austria, nel Regno Unito e nel Guangzhou, trattano ogni anno 200mila tonnellate di plastiche, che arrivano mischiate a metallo, legno o vetro e devono essere depurate con sistemi meccanici e fisici. Poi i frammenti plastici vengono separati, con metodi che Biddle ha messo a punto in un decennio di ricerche, in tre categorie principali: Abs (acrilonitrile-butadiene-stirene), polistirene e polipropilene, suddivisi per colore, estrusi e ridotti in granulato con le stesse proprietà della plastica vergine. «Per essere competitivi, dobbiamo produrre plastiche di ottimo livello, ma più economiche dell'originale», spiega Slijkhuis. Per questo, Mba Polymers investe somme ingenti in ricerca, per rendere il processo sempre più preciso e assicurare standard elevati. Con il suo lavoro, cominciato nel '92, Biddle ha tracciato un nuovo percorso per il riciclo della plastica, diventando leader mondiale di questo nuovo mercato, attraverso la crescita costante della Mba Polymers negli Stati Uniti, in Cina e in Europa. Qui, ha trovato un alleato italiano: Ambienta, guidata da Nino Tronchetti Provera con i partner fondatori Rolando Polli e Mauro Roversi, che ha investito 15 milioni di dollari nella società californiana.

Per il suo contributo alla sostenibilità ambientale della produzione industriale, Biddle ha ricevuto nel 2012 il Göteborg Award, considerato il Nobel dell'ambientalismo, oltre a innumerevoli altri riconoscimenti. Ma la sua missione è tutt'altro che compiuta. A livello globale, la produzione di plastica aumenta a un tasso del 9% l'anno e ormai viaggia sui 300 milioni di tonnellate complessive, di cui 60 in Europa.
Dagli anni 50 a oggi, almeno un miliardo di tonnellate di materiale è stato gettato via e rimarrà nell'ecosistema terrestre ancora per un migliaio di anni. Nel frattempo, centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti plastici del mondo industrializzato finiscono ogni anno nei Paesi in via di sviluppo e qui vengono trattati in maniera estremamente inquinante per estrarre il poco valore facile da recuperare, cioè i metalli: spesso vengono semplicemente bruciati a cielo aperto o in fornaci rudimentali, con emissioni tossiche di diossine e altri inquinanti. Gli scarti plastici che hanno varcato le nostre frontiere l'anno scorso ammontavano a poco meno di 200mila tonnellate per un valore di 54 milioni. A queste vanno aggiunte circa 22mila tonnellate di pneumatici fuori uso, per altri 21 milioni, particolarmente ambiti in Corea del Sud, dove vengono usati come combustibile per cementifici e termovalorizzatori. Altri Paesi europei, come Germania e Regno Unito, esportano quantità di gran lunga maggiori. Ma questi sono solo i flussi legali di rifiuti in plastica e gomma. Quelli illegali, ben più corposi, sono difficili da stimare. Un dato certo si ottiene dai sequestri: 11.400 le tonnellate di rifiuti intercettate l'anno scorso in Italia prima di essere imbarcate su navi in partenza verso porti cinesi, indiani o africani. Il traffico di rifiuti plastici verso i Paesi in via di sviluppo è ormai un'emergenza globale e solo quando i Paesi industrializzati riusciranno a trovare una volontà politica forte e chiara per riciclare completamente i prodotti industriali giunti a fine vita, valorizzando ogni componente, riusciremo ad avviare comportamenti virtuosi efficaci.

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