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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2013 alle ore 10:59.

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Isola di Tjøtta, Norvegia, a 200 km dal circolo polare artico. Grandi cerchi sull'acqua, fino a 200 metri di circonferenza, increspano il mare cristallino, a ridosso di una costa verde d'estate e bianca d'inverno, incontaminata. Sotto, reti profonde 50 metri delimitano l'acquacoltura di salmoni della Nova Sea.
I tecnici ne pescano uno: operazione non facile, perché il 97,5% della gabbia è acqua. Il salmone catturato, uno dei 333 milioni allevati ogni anno in Norvegia, viene esaminato. «Ha un pidocchio: dopo il controllo, va rimesso nell'allevamento, non in mare libero, per non turbare l'ecosistema del salmone selvaggio», spiega Merete Kristiansen, responsabile della sede italiana del Norwegian seafood council. L'ente promuove la vendita dei 2,3 milioni di tonnellate di pesce prodotto ogni anno. Con grande efficacia: l'export di pesce (terza voce in assoluto) vale 6,6 miliardi di euro, quello del salmone e della trota 3,8 miliardi.

E ora? Si somministreranno disinfettanti anti-pidocchi? «Proviamo prima con metodi naturali: è in arrivo un carico di pesci pulitori ordinati a operatori locali, ci penseranno loro a ripulire i salmoni – dice il responsabile dell'impianto, Arne Haavard Maasoey –. Leggi e regolamenti ci impongono di limitare i farmaci. E non usiamo più antibiotici (al 99,99%) dal 1995, perché ogni salmone viene vaccinato». E gli ambientalisti che denunciano la presenza di antibiotici? Si aggiornino, dicono i norvegesi. E le fughe di salmoni infetti, che contagiano quelli selvaggi sterminandoli? In drastico calo, mentre lo stock di quelli selvatici si sta riprendendo, dicono i dati ufficiali.
Intanto, gli erogatori di mangime cominciano a sparare cubetti. Che cosa ci sarà dentro? «Nessuna farina animale né Ogm: non sono consentiti – dice la biologa marina Henriette Hanssen, del centro di ricerca sull'acquacoltura di Helgeland –. Ci sono vegetali (soia, colza e grano), olio di pesce, scarti di lavorazione ittica o pesci pelagici senza mercato». E c'è la cantaxantina, un pigmento carotenoide sintetico autorizzato. E gli allarmi periodici sulla presenza di pesticidi, diossina e Pcb? Basati su dati del 2004, quando i livelli erano tre volte più alti, dice l'istituto per la nutrizione Nifes.

Henriette Hanssen sperimenta nuovi metodi di cura dei pesci sull'isola di Dønna, fra casette dal tetto ricoperto di torba. Si dice «fiera di lavorare nell'industria ittica norvegese», criticata però a livello internazionale per il rifiuto del Paese di aderire alla moratoria sulla caccia alle balene (limitata comunque a 600 esemplari su un limite statale di 1.200). L'acquacoltura, invece, è un'industria sostenibile, contro ogni apparenza. Secondo la Fao, ha un impatto accettabile sull'ambiente, se praticata in modo onesto: in acque pulite, con limitato uso di disinfettanti, fermi biologici o spostamenti periodici degli impianti (per permettere alle correnti di spazzare via i residui), come fanno in Norvegia. È anche portatrice di sviluppo sociale, perché genera cibo e lavoro nelle aree più rurali. L'Onu ha invitato i Governi a sostenere l'aumento delle quantità prodotte, per fornire più risorse alla popolazione in aumento. Così, dai 128 milioni di tonnellate di pesce consumato è auspicabile che si passi a 172 nel 2021. «E l'allevamento dei salmoni è il più efficiente: 2,5 kg di CO2 emessa per ogni kg di cibo prodotto (contro i 30 kg di CO2 per ogni kg di carne): dati certificati da tre enti terzi», dice Jon Arne Grøttum, dirigente della federazione industriale Fhl.

Un alimento, il salmone, consigliato dai nutrizionisti, per il suo elevato contenuto di Omega 3, con proprietà antinfiammatorie, neuro e cardio-protettive. E la storia che quello di allevamento è più grasso del selvaggio? «Vero, ma si tratta di grassi "buoni" e poi la resa aumenta, se si impara a pulirlo bene», dice lo chef pluri-premiato Sven Erik Renaa, a Trondheim. Non a caso, i giapponesi usano sempre di più il salmone norvegese nel sushi. Anche per soddisfare l'esigente mercato asiatico la Norvegia è diventata così attenta sulla sicurezza alimentare. Fino a intabarrare i visitatori degli allevamenti in tute da astronauta. Non per il freddo, ma per evitare di portare microbi ai pesci.

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