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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2010 alle ore 19:31.
Anche in una giornata di fine ottobre il sole splende sull'Albania e nella capitale Tirana la temperatura raggiunge i trenta gradi. «Se quella tenda fosse un pannello fotovoltaico in questo momento staremmo producendo un bel po' di energia», commenta Igor Bovo di Ecoware , società del gruppo Kerself specializzata nella produzione di energia solare che si trova per qualche giorno in Albania per valutare le opportunità di investimento in questo Paese. La posizione geografica e il clima sono il primo motivo per cui questo mercato fa gola agli operatori energetici italiani.
Un altro è che l'Albania sembra più una regione del sud Italia che un paese straniero.
«Fare business qui è facile, sia nell'integrazione culturale che nella ricerca di manodopera qualificata», spiega Bovo. Il terzo motivo è invece di carattere commerciale. Nel 2006, Italia e Albania hanno siglato un accordo bilaterale per cui i certificati verdi rilasciati dall'Autority energetica albanese sono riconosciuti anche in Italia.
Da allora, diversi gruppi italiani hanno seguito l'iter autorizzativo per operare nel Paese, ma non ancora nello sfruttamento dell'energia solare. Quello fotovoltaico è un mercato vergine e Ecoware potrebbe essere il primo operatore a occuparsi degli aspetti legali e ingegneristici necessari per aprire un impianto di start up che impiegherebbe una cinquantina di persone. «La fase di preparazione potrebbe durare fino a 2 anni», aggiunge Bovo, che con Ecoware ha già investito in Israele e Russia. Non c'è fretta. Portare l'energia fuori dal limitato mercato locale, poco più di 3 milioni di abitanti, infatti non è semplice.
La costruzione del cavo di interconnessione tra l'Albania e la Puglia annunciata qualche anno fa da Terna è ancora bloccata per motivi tecnici e di risorse (l'investimento complessivo stimato potrebbe superare i 600 milioni di euro). Il progetto è ancora nella fase di autorizzazione e il completamento è previsto per il 2013. Le alternative, tra cui il progetto della società OST che sta lavorando a una linea di connessione tra il Montenegro e l'Italia da 400 kilovolt, non sarebbero sufficienti a trasferire all'estero l'energia prodotta se tutti gli impianti autorizzati fossero in funzione. «Una bottiglia piena con il collo stretto da cui deve passare tutta l'energia», è la metafora utilizzata da un consulente locale delle società italiane. Gli italiani che hanno già puntato su questo mercato hanno invece investito nell'energia dell'acqua.
Le concessioni di impianti idroelettrici assegnati nel Paese sono circa 90 e molte di queste sono a favore di società italiane. Il gruppo Moncada ha ricevuto la licenza per la costruzione di un impianto da 500 megawatt e Marseglia un impianto da 250 megawatt, attualmente in fase di sviluppo. L'altro gruppo che ha investito è Caraglio , che in associazione con Hertis ha ottenuto due concessioni idroelettriche, la prima di 14 megawatt e la seconda da 65 megawatt, ancora in fase di approvazione presso il consiglio dei ministri albanese.
Investimenti a cui si aggiungono quelli fatti nelle fonti di energia non rinnovabile da diverse aziende italiane e in particolare da Enel e dalla stessa Terna, che in passato aveva anche lavorato con la compagnia energetica albanese Korporata Elektroenergjetike Shqiptare per l'ottimizzazione della rete locale.
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