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Questo articolo è stato pubblicato il 09 febbraio 2013 alle ore 09:50.

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A quanto pare è il festival di Sanremo l'arma segreta delle sinistre per bloccare e rintuzzare la rimonta di Silvio Berlusconi. Fabio Fazio e la Littizzetto sono le quinte colonne in grado di frenare la rincorsa del Pdl e di consegnare le chiavi di Palazzo Chigi a Bersani e a Vendola. S'intende che l'ultima invenzione mediatica del leader del centrodestra fa un po' sorridere. Dopo l'Imu, il condono tombale e i quattro milioni di posti di lavoro, questa trovata del festival che andrebbe "spostato" (di data e non di luogo) per non influenzare il voto degli italiani è la più debole fra tutte quelle escogitate per occupare le prime pagine.

Certo, il suo risultato l'ha ottenuto: il titolo "Berlusconi contro il festival di Sanremo" circola da ieri sui siti on-line. E se l'obiettivo è far parlare di sé, così da impedire che si parla di altri (e di altro), non c'è nulla da aggiungere. È una tattica anche questa. In fondo già un paio di settimane fa, con la battuta su Mussolini autore di cose buone salvo le leggi razziali, Berlusconi aveva fatto la stessa operazione. Non tanto per recuperare ipotetici voti "nostalgici", quanto per creare trambusto mediatico. Per essere il solo a sostenere una tesi diversa da tutti gli altri. La regola è sempre quella: primo, andare sui giornali. E andarci nelle vesti di "guastafeste", del personaggio imprevedibile che spiazza gli altri.

E quindi via contro il festival politicizzato e la Rai che lo permette, lungo il sentiero aperto dalla cantante Anna Oxa che aveva paragonato il concorso canoro di quest'anno a una sorta di Primo Maggio.
Tutto ridicolo? Sì e no. Sono mosse nazional-popolari rivolte al "paese profondo". Anche quando, come in questo caso, sembrano controproducenti, visto che vanno a toccare proprio un'icona nazional-popolare come il festival. Ma di sicuro Berlusconi ha fatto il conto che gli conviene, al di là dell'apparente paradosso. Gli conviene come la frase su Mussolini e il tira-e-molla sull'Imu.

Detto questo, non si sfugge all'impressione che la campagna berlusconiana, al di là dell'enfasi sui sondaggi, sia in grave debito d'ossigeno. Il capo si sforza, con una serie di mosse a effetto, di stare sulla scena e combatte una battaglia all'ultimo sangue contro i suoi concorrenti, il primo dei quali resta Beppe Grillo. Come ha ben scritto Ugo Magri sulla "Stampa", Berlusconi si sente incalzato dai Cinque Stelle. Sono loro che lo sfidano (con successo) sul terreno del populismo, o meglio di quell'approccio nazional-popolare che per anni ha costituito l'ossatura profonda del movimento berlusconiano.

Grillo in ascesa, Grillo che si avvicina al 18-20 per cento dei voti non è compatibile con la rimonta del Pdl. Non c'è posto per tutti e due oltre una certa soglia di consenso. Ed è qui che l'ex premier incrocia le lame per l'estremo duello. Anche lui, come Bersani, ricorre all'argomento del "voto utile", andando a disturbare gli alleati (Lega, Meloni, Storace) che difatti non sono contenti. Ma i veri competitori sono altri: è Giannino, ormai messo sotto tiro, e soprattutto la sterminata prateria che ha scelto Grillo. Se questo è vero, aspettiamoci nelle prossime due settimane altri exploit nazional-popolari. Dieci, cento, mille Sanremo. Ma forse non basteranno a tamponare l'intima fragilità del berlusconismo al tramonto.

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