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Questo articolo è stato pubblicato il 31 gennaio 2013 alle ore 08:51.
L'ultima modifica è del 31 gennaio 2013 alle ore 09:15.

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Qualcosa si sta incrinando nella "rivoluzione civile" di Antonio Ingroia? Si è scoperto che c'è un capolista in Campania favorevole ai condoni edilizi, mentre un altro candidato nel Nord risulta indagato. Poi c'è il caso degli autobus napoletani che non possono circolare per mancanza di benzina: una storia che certo non getta una luce positiva sull'amministrazione del sindaco De Magistris, uno dei fondatori della lista guidata dal magistrato siciliano. Ma sarebbe ancora il meno.

Il problema è che lo stesso Ingroia ha usato in modo maldestro, e in apparenza strumentale, i nomi di Falcone e Borsellino nella campagna elettorale. L'interessato nega, ma l'attacco che gli ha portato Ilda Boccassini, a suo tempo stretta collaboratrice di Falcone, è di quelli che lasciano tramortiti. Eppure c'è persino di peggio ed è la replica risentita e astiosa che l'accusato ha riservato alla collega (non proprio l'ultima arrivata, bensì un nome ormai storico nella magistratura): «Meglio che io non dica quello che Borsellino pensava di lei».

Si tratta di una frase inquietante perché allude senza precisare e chiama in causa, per la seconda volta in poche ore, qualcuno che non può confermare né smentire ciò che gli viene attribuito. In sostanza, due martiri come Falcone e Borsellino, la cui memoria merita profondo rispetto da parte di tutti gli italiani senza distinzione di colore politico, sono stati tirati in ballo a sproposito e sono finiti in mezzo a una polemica assai sgradevole.

Il quadro è abbastanza sconfortante. C'è un pubblico ministero, appunto Ingroia, che non si è dimesso dalla magistratura: ha solo lasciato il suo ufficio, chiedendo l'aspettativa per candidarsi alla testa di una coalizione arcobaleno che incalza da sinistra il cartello Bersani-Vendola. Peraltro, lo stesso magistrato ha già detto che, in caso di mancata elezione, tornerà immediatamente a svolgere la sua precedente attività. In sostanza si considera come sempre del tutto normale, almeno sul piano dell'opportunità, che un pubblico ministero impegnato in inchieste assai delicate, passi dalla magistratura alla politica, alla testa di una lista di estrema sinistra, e poi torni eventualmente nelle aule di giustizia. Il tutto nel giro di qualche mese.

Come se non bastasse, questo andirivieni è condito da scambi molto aspri con altri pezzi della magistratura, sulla base di giudizi sprezzanti e di insinuazioni velenose. Quasi che la magistratura stessa fosse a sua volta una sorta di partito politico attraversato da correnti irriducibili in lotta le une con le altre. Come in effetti è, ma in precedenza mai era apparso evidente con tanta asprezza.

In definitiva la candidatura di Ingroia, spalleggiato da Di Pietro, sembra aver fatto emergere un intreccio oscuro di rancori, livori e ambizioni per cui non si esita a citare la memoria di Falcone e Borsellino come fosse lo strumento di una battaglia personale. E infatti il leader di "Rivoluzione Civile" si trova in urto frontale anche con i familiari di entrambi i magistrati assassinati dalla mafia. Quanto sia scivolosa la vicenda lo dimostra peraltro l'impacciata spiegazione offerta ieri da Di Pietro nel tg di Sky. Secondo lui la colpa è dei giornalisti che hanno travisato le parole di Ingroia e hanno tratto in inganno la Boccassini. Purtroppo invece la lezione è un'altra: il tentativo di creare una formazione fondata sul populismo giudiziario rischia di essere un forte elemento d'instabilità e di confusione istituzionale nel prossimo Parlamento.

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